Jackson Pollock e i suoi amici
Inferno e paradiso. Tra questi estremi viaggia la rassegna romana al Vittoriano, presentando la ”scuola di New York” degli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso. Un gruppo di “irascibili”, come son stati definiti, che hanno creato nuove forme espressive, ben poco riconducibili alla tradizione occidentale.
C’è stata infatti la Seconda guerra mondiale. Gli Usa vincitori si sentono ottimisti, ma non lo sono affatto però gli artisti che circondano Pollock, personaggio ribelle, incontentabile fin dalla giovinezza difficile. Non vuole scuole dietro le spalle, fa da solo, e fa scuola. Dipinge quadri estesi, lascia colare il pennello così che gocciolando crei un intrigante mondo con-fuso,dove i colori vengono materialmente in rilievo, come mini-sculture.
E canta soprattutto una angoscia esistenziale che contrasta certo con l’epopea american del cinema contemporaneo. I suoi quadri non hanno titoli chiari: parlano da sé stessi. Niente natura, nessuna figura umana.
Solo luce e colore, rappresi. La con-fusione, l’astrattezza, il non-senso apparente si trasformano, avvicinandosi meglio, con calma, in parole. Pollock ha in mente e i n cuore l’inferno della guerra, le ingiustizie del mondo, la propria corsa della vita senza un punto fermo, se non quello della pittura. Di qui, nei suoi dipinti, nati anche su di uno sfondo di celeste sereno, un groviglio di tinte e di segni, una matassa informe che è la violenza del vivere,la tragedia della mancanza di libertà, l’infelicità.
Ossia, l’inferno, già sulla terra. Basta vedere la fragile, fascinosa opera Number 27 (1950): un intarsio di gialli rosa grigi e bianchi smaltati che sono intrecci di pensieri, emozioni, dolori, forse nausee. Non fanno paura, ma trasmettono un doloroso sentimento di solitudine. Il mondo è grande, potrebbe essere bellissimo, ma non lo è. Eppure i colori,a ben vedere, sono tersi,si direbbe rosei, come lacrime di un artista che, dopo una notte brava, muore in un incidente stradale, ubriaco, l’11 agosto 1956.
Come accadrà a James Dean, uno di quei “ribelli” che in quegli anni iniziano a dominare nel cinema. Non si regge facilmente di fronte ad una sensibilità che vede nel mondo la distruzione e vi si precipita dentro in un innesto tra arte e vita completo. Così farà Andy Warhol creando il mito del riciclaggio estetico in fotocopia, o Basquiat, stroncato dalla droga,ancora giovane, dopo aver gridato il proprio urlo interiore.
Sul scia di Pollock si susseguono i ritmi disperati di James Brok, di Willem de Kooning che indaga l’eterno femminino come fasci di carne, di Grace Hartigan (morta nel 2008) che ama l’astrazione con una punta di figurativo. Il gruppo newyorchese è variegato, certamente, tuttavia si riconosce dal colore tendente all’acido,e da un turbamento che l o attraversa come qualcosa di soffocato, che deve respirare, ma fa fatica.
L’intreccio tra le varie forme d’arte – designer scultura, pittura, cinema, musica, letteratura – è costante. Tutto ciò sembra essere concentrato in un artista intenso,come il lituano Mark Rothko. Forse senza accorgersene, ha dentro di sé i mistici, i romantici, le tensioni spirituali che vanno da Rembrandt a Matisse da Rouault ad Arcabas a Chagall. Rothko vede il paradiso. Che è solo luce. Perciò le sue vaste tele, come il Blu giallo verde su rosso del 1954 è un lavoro che va guardato a lungo, penetrato, seduti di fronte. Si contempla la lirica della luce e del colore. Fasce ”sonore” liquidissime,dolci,brani di un paradiso dove tutto è spirito, non c’è bisogno della figura umana. C’è gente che piange davanti a Rothko, come si tormenta davanti a Pollock.
Il colore di Rothko ricorda i medievali, le albe di Giorgione. Quello di Pollock è un Caravaggio senza figura, solo altissimi muri, come nelle ultime opere. Strano, ma i due artisti hanno pagato con la vita la loro ricerca: Rothko infatti si è suicidato,incapace di sopportare una possibile malattia mortale. Davanti all’urgenza del dolore, non hanno retto. Pollock ha detto l’inferno,Rothko si è avvicinato alla porta del paradiso, ma non l’ha varcata. Gli è mancata la chiave. Ma a noi resta la luce sua e quella, pur scura, di Pollock.
Pollock e la scuola di New York. Fin al 24. 2 (catalogo Arthemisia)