Ivo Cilesi e la “terapia della bambola”

Tra le vittime del coronavirus c'è questo psicopedagogista che ha ideato cure innovative per contrastare l'Alzheimer. Pubblichiamo l'articolo apparso sul numero di luglio della rivista Città Nuova

In questi mesi è capitato di sentir parlare di “vittime illustri” del coronavirus, basti pensare allo scrittore cileno Luis Sepùlveda. C’è però anche un nome forse sconosciuto ai più, ma che significa molto per i malati di Alzheimer, le loro famiglie e gli operatori di questo settore: quello di Ivo Cilesi, psicopedagogista, genovese di nascita e bergamasco d’adozione, morto a inizio marzo a 61 anni. Tutto è accaduto rapidamente, come ha raccontato anche il Wall Street Journal, in un reportage sulle vittime di Covid-19 nel mondo, in cui ha citato anche Cilesi.

ivo-cilesi-fotinaNell’ultimo weekend di febbraio, lui e la compagna e collaboratrice, Giovanna Lucchelli, erano già pronti a partire dalla loro casa di Salsomaggiore Terme per Genova; ma all’ultimo momento avevano deciso di rimanere, perché Ivo non si sentiva bene. Nel giro di poche ore la situazione è peggiorata, tanto che l’uomo è stato portato d’urgenza in ospedale; risultato positivo al Covid-19, non si è più ripreso, fino a quando la mattina del 2 marzo Giovanna – che non lo aveva più potuto rivedere dopo il ricovero – ha saputo della sua morte durante la notte.

Ma chi era Ivo Cilesi, e che cosa aveva fatto per guadagnarsi il curioso soprannome di “dottor treno”?
Nato a Genova, dove si era laureato in Pedagogia nel 1998, Cilesi aveva poi proseguito gli studi a Londra, divenendo psicopedagogista e musicoterapeuta al Royal Hospital. Aveva così intrapreso un percorso che l’ha portato, a partire dall’osservazione delle persone che si trovava ad assistere, ad elaborare delle terapie non farmacologiche innovative per i malati di Alzheimer, diventando uno dei maggiori esperti in questo campo a livello internazionale. Una di queste è la doll therapy, la “terapia della bambola”.

«La bambola terapia – scriveva Cilesi sulla rivista Nursing nel 2009 – è una terapia che tramite una bambola con caratteristiche particolari (la bambola Gully, da lui progettata e diventata presidio medico, ndr) favorisce la diminuzione di alcuni disturbi comportamentali […] quali agitazione, aggressività, apatia, comportamento motorio non adeguato […]. Una bambola sveglia i sentimenti e incentiva relazioni. Offre conforto, possibilità di identificazione». Per dirla altrimenti: il fatto di prendersi cura della bambola come se fosse un bambino fa appello alla parte più intima della natura umana, risveglia ricordi ed emozioni, facilitandone la gestione in chi è affetto da demenza; oltre a rispondere ai bisogni di attaccamento, supporto e affetto.

ivo-cilesiUn treno per ricordare
L’altra intuizione di Ivo, che gli è valsa il soprannome di “dottor treno”, è la “terapia del treno” o “del viaggio”. Allestendo una stanza a mo’ di vagone, i pazienti vengono invitati a fare un viaggio insieme. Ciò non solo stimola il riaffiorare di ricordi ed emozioni, ma consente anche ai pazienti – che spesso si trovano in una situazione di incomunicabilità – di instaurare rapporti con chi fa questo “viaggio” insieme a loro; nonché al terapeuta di fare un viaggio nel mondo del paziente, che altrimenti rimarrebbe una sorta di “terra incognita” impossibile da capire.

Due terapie che hanno in comune la caratteristica di essere non farmacologiche (i farmaci, in questo campo, non offrono ancora soluzioni del tutto valide), e di essere partite da semplici intuizioni. Proprio per questo Cilesi, sentendo il bisogno di validare scientificamente quanto osservato in 20 anni sul campo, a dicembre 2018 ha fondato l’Innovative Elder Research (Ier), un centro studi dedicato appunto alle terapie non farmacologiche, che persegue finalità di ricerca e formazione senza scopo di lucro. Una realtà a cui lui ha dato il via, e che vedrà il dispiegamento delle sue piene potenzialità negli anni a venire; e che è l’ultima di una lunga serie.

Cilesi aveva infatti ideato, tra le tante cose, il Centro Ammonis, il primo ambulatorio di terapie non farmacologiche all’interno di uno stabilimento termale, il Respighi di Tabiano; aveva rimodulato gli spazi in molte strutture sanitarie sia italiane per renderle veri “ambienti di cura”, cura”; aveva tenuto corsi di formazione per operatori del settore sociosanitario e collaborato con numerosi centri in vari Paesi.

Il riconoscimento della comunità scientifica
Se Cilesi si era preoccupato di dare dignità scientifica ai suoi lavori tramite l’opera di Ier, di fatto iniziata da poco, la comunità di medici e pedagogisti che si occupano di Alzheimer ha comunque già riconosciuto la validità delle sue intuizioni. «Era un professionista serio, ma soprattutto un grande uomo – ha affermato il dottor Fabrizio Lazzarini della Fondazione Carisma di Bergamo, ai microfoni di Giorno per giorno su Radio1 –. È stato un seminatore: non ha tenuto per sé le sue intuizioni, ma le ha seminate in Italia e all’estero, e questo è il suo grande merito».

«Cilesi voleva istituire un gruppo di lavoro su queste tematiche all’interno dell’Associazione italiana di psicogeriatria – ha ricordato agli stessi microfoni il dottor Marco Trabucchi, presidente dell’associazione –. Era uno scienziato completo, perché non solo intuiva, ma sentiva anche il bisogno di dare fondamento scientifico alle sue intuizioni. Che hanno la caratteristica fondamentale di essere dei modi per avvicinare le persone nella loro solitudine: avvicinarsi a loro, ed avvicinarle tra loro». Il tutto «senza proporre miracoli, era un uomo concreto. Ma comunque portando dei vantaggi a chi soffre».

Non è mancato nemmeno un ricordo in Parlamento, con la deputata Lucrezia Maria Benedetta Mantovani che ha affermato, in un suo intervento in aula, che «la nostra società avrebbe bisogno di tante persone così. Lo piango io, che ho avuto l’onore di collaborare con lui, e lo piangono tanti suoi allievi».

Il ricordo della famiglia
Naturalmente, anche la famiglia ha voluto ricordarlo. «Era un vero genio creativo – afferma la sorella Laura – che ha saputo interpretare delle semplici osservazioni della realtà trasformandole in cose concrete sul campo: perché osservava e ascoltava le persone fragili nella loro quotidianità. Una persona che ha saputo dare indicazioni precise a chi si occupa di persone fragili. Io, come il resto della famiglia, abbiamo avuto il dono di averlo accanto, e la sua presenza ci ha resi tutti migliori». «Grazie Ivo – ha scritto Giovanna, la compagna – per avere condiviso la tua creatività e per essere stato mio compagno di vita, formatore e guida nel lavoro di cura. Insieme al gruppo di lavoro porteremo avanti il tuo insegnamento e sono certa che tu sarai al nostro fianco».

 

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