Ius soli. Cosa serve davvero in Italia
Politicamente la questione usi soli o ius sanguinis è un cavallo di battaglia estivo usato nell’imminenza delle Amministrative in diverse città italiane. Per una certa area di cattolici è la gara a rappresentarsi migliori di altri. Strumentalizzazioni molto tristi che hanno il solo risultato di creare tensioni inutili e di distogliere lo sguardo dal vero impegno che gli Stati dovrebbero adottare indistintamente nell’interesse delle nuove generazioni, che vivono nei propri territori, ossia creare opportunità di studio , di lavoro e di benessere per tutti.
Se il dare “la cittadinanza” diventa per chi è cittadino di altro Paese una mera scappatoia per superare i problemi attuali di burocrazia di richiesta di rilascio del permesso di soggiorno, avremo snellito il lavoro delle Questure di controllo della regolarità della presenza sul territorio italiano, forse sarebbe preferibile invece ottimizzare questo canale. L’esito sarebbe quello di garantire i diritti di coloro che si sono integrati nel nostro territorio avendo seguito un percorso e quindi hanno diritto ad una risposta celere della Pubblica amministrazione, mentre al contrario rischiamo di dare un titolo a coloro a cui della “cittadinanza italiana” potrebbe interessare solo per avere agevolazioni con il passaporto, fruire di una circolarità con controlli limitati e quel che è più triste superare una burocrazia lenta.
Questi obiettivi non ci rendono “più fratelli o più integrati”, ma ci espongono a maggiori strumentalizzazioni ed è forse questo il vero nodo anche politico. Se un intervento è necessario dovrebbe andare nella direzione di un miglioramento dell’attuazione della attuale legge, per cui si potrebbe introdurre una territorialità maggiore della gestione delle pratiche di cittadinanza ed avere finalmente tempi “certi” di definizione delle pratiche. A fronte, per esempio, di pratiche di naturalizzazione che dovrebbero definirsi entro due anni dalla loro presentazione, spesso si superano i 4 o 5 anni. E senza che per questo ritardo al pubblica amministrazione venga sanzionata!
Dietro questa lunghezza di procedure è legittimo domandarsi se non ci sia una chiaro orientamento di indicazione politica del Ministero dell’Interno che vuole spingere verso lo “ ius soli “ soli ai fini di snellire le procedure, rinunciando invece a quelle che sono le prerogative di competenza del Ministero dell’Interno , ossia il controllo e la sicurezza del Paese che non può essere trascurata nel periodo attuale.
In Italia, contro la nostra tradizione culturale e nella convinzione che istituire processi di burocratizzazione corrisponda a dare risposte alle varie domande di giustizia, si banalizza tutto, tanto che “dare giustizia” è sinonimo di risparmio e di celerità che è assodato non garantiscono necessariamente un giusto processo e tantomeno la tutela di chi è parte più debole nel tessuto sociale.
D’altra parte siamo riusciti a svuotare parole come garanzie difensive, uguaglianza, libertà di parola … e pace.
In questo contesto parlare di diritti di coloro che nascono sul territorio italiano da cittadini stranieri è evidente che non è più una questione di merito, ma solo di “ etichetta ” tanto che nello stesso video pubblicizzato da La Repubblica: uno dei minori, precisamente Numayer di Roma afferma: “ Mi comporto come tutti gli altri e vengo trattato come gli italiani. Non è che sono diverso dagli altri Non mi importa come mi giudica lo Stato , basta chi sono io veramente !” . E’ evidente che questo bambino sia perfettamente integrato, tanto che non sente la necessità di “uno Stato” che gli attribuisca un’ etichetta , perché sa perfettamente chi è.
In luogo della cittadinanza, anche sulla base di questa esperienza, sarebbe invece importante che lo Stato Italiano investa nel dare opportunità innanzitutto ai giovani in quanto tali e valorizzi tutte le risorse umane sul territorio, salvaguardano e promuovendo la piena attuazione dei principi costituzionali, che costituiscono l’unica vera griglia di uno stato moderno e democratico.
L’esodo dei giovani italiani all’estero purtroppo segnala un fenomeno diverso, ossia l’obbligo dell’esodo come l’unica strada possibile e non come una libera scelta di trovare
“spazi” di realizzazione migliori. Questo fenomeno segnala che lo Stato Italiano non è in grado in questo momento di dare opportunità a nessuno. E la cittadinanza rischia di essere un contenitore e vuoto per alcuni e una escamotage per altri.
Mia figlia liceale ha concluso la sua esperienza scolastica in Canada, acquisendo il diploma di accesso all’Università; per ottenere il visto ha dovuto dichiarare di avere la capacità economica di versare una somma mensile per il suo sostentamento e la prenotazione del biglietto aereo di ritorno. Quindi apparentemente nulla di regalato. Date le premesse però lo Stato canadese ha creato per mia figlia una grande opportunità, quella cioè di valorizzare tutto il suo percorso italiano in campo scolastico, sportivo oltre ad ampliare le competenze linguistiche e di integrazione sul territorio con attività di volontariato. Fino a permetterle di concludere il suo percorso di studi ammettendola agli esami di maturità, che ha superato brillantemente come i suoi compagni autoctoni.
Io credo che questo sia ciò che vale la pena di discutere e che ci troverebbe tutti d’accordo: dare effettive opportunità a noi tutti, italiani o stranieri, sul territorio fin dalla nascita. Bisogna saperle cogliere nel rispetto della cultura del Paese ospitante, ma anche come occasione di ricchezza reciproca che ciascuno di noi ormai oggi può rappresentare per il proprio Paese e per gli altri Stati in condizioni di reciprocità.
Questo è l’augurio che vorrei estendere a coloro che nascono nel nostro territorio e che di questo si sentono parte. Tutto ciò che si muove in modo diverso da questa direzione, oggi ci pare sia semplicemente speculazione. E se proprio vogliamo dare uno sguardo all’ Europa, scopriamo di essere in linea con gli altri Stati Europei, che mi pare in punto tradizione giuridica culturale nulla hanno da invidiare agli Stati Uniti d’America.
Città Nuova si è espressa sul tema. Ecco l’articolo di Flavia Cerino