Italo Calvino, la leggerezza della letteratura
Ha passato tutta la vita a legare attorno alle parole scritte da lui tanti, invisibili palloncini, per farli volare tra le nuvole, liberi e leggeri. Per Italo Calvino, di cui ricorre in questo 2023 il centenario della nascita, la letteratura è aria e ossigeno, leggerezza e levità, una pacifica guerra contro la pesantezza, l’ottusità e l’opacità della vita.
Questo impegno è durato, si può dire, durante tutta la sua produzione letteraria, dal primo romanzo (Il sentiero dei nidi di ragno, 1947, d’ispirazione partigiana) alle famose e incompiute Lezioni americane, stroncate dalla morte dello scrittore, dove precisa: «La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio».
Calvino è stato talmente fedele a questo impegno, che poche volte i suoi libri d’invenzione sono stati trasfusi dentro la pur meravigliosa staticità di uno schermo televisivo o cinematografico. Ci ha lasciato scritti creativi adatti a volare nell’infinità azzurra del nostro pianeta, a farsi trasportare in alto da un parapendio o ad imbarcarsi in una mongolfiera che si alza felice verso il cielo. Per questo – senza rinunciare al suo coinvolgimento politico e culturale – Calvino ha ri-raccontato con il suo stile candido e leggero le Fiabe italiane della tradizione popolare e l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, ha dato vita con empito fantastico alla trilogia dei Nostri Antenati, ha immaginato le vaporose avventure anti-consumistiche del surreale Marcovaldo o le imprese psicologiche del taciturno Palomar.
Ancora oggi possiamo apprezzare la sua poetica e ironica vitalità, la sua serena fantasia e i suoi personaggi anticonformisti, specie in quelle esplosioni di geniale creatività letteraria rappresentate dai metaforici racconti delle Cosmicomiche (1965) e di Ti con zero (1967), dal romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) e, nel complesso, dai circa 200 racconti scritti durante tutta la sua vita. Racconti attraversati dal suo grande amore per le forme colte mescolate a quelle popolari, e dalla sua attenzione speciale ai molteplici piani di lettura del testo scritto, dal realistico al simbolico, dall’onirico al fiabesco.
Italo Calvino nasce a Cuba nel 1923, figlio di un agronomo e di una botanica. Ha solo due anni quando la famiglia (di mentalità laica, illuminata e tollerante) si trasferisce a Sanremo, la città del padre, e trova il regime fascista imperante in Italia. Il nome Italo era stato scelto dalla madre – spiega Calvino – «perché non scordassi la patria degli avi, e che invece in patria suonava bellicosamente nazionalista». Ha poi un fratello più piccolo, Floriano. Intanto legge romanzi d’avventura, disegna vignette e fumetti, segue con passione il cinema e il teatro. Suo compagno di liceo è Eugenio Scalfari, futuro fondatore e direttore del quotidiano La Repubblica.
La seconda guerra mondiale sconvolge tutto. La lettura, la scrittura e la letteratura diventano, e sarebbero rimaste per tutta la vita, il suo grande amore, coltivato in tutte le forme: dal saggio alla poesia, dalla fiaba al racconto umoristico, dall’articolo di giornale al testo delle canzoni. Inoltre Calvino scopre l’impegno civile e politico: aderisce alla Resistenza e, dopo la guerra, al Partito comunista.
Stringe legami con Cesare Pavese (il cui suicidio nel 1950 lo getta nello sconforto) ed Elio Vittorini, con cui fonda la rivista Il Menabò. Inizia a collaborare con la casa editrice Einaudi, che giocherà un ruolo sempre più importante nella sua vicenda lavorativa e letteraria. Uno dopo l’altro escono i suoi capolavori, che ne fanno uno degli scrittori e intellettuali più affermati: Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959, poi pubblicati in un solo volume nel 1960; Fiabe italiane), La giornata d’uno scrutatore (1963), Marcovaldo ovvero Le stagioni in città (1963), Le città invisibili (1972), Il castello dei destini incrociati (1973), Palomar (1983). In particolare Marcovaldo diventa uno sceneggiato Rai di successo nel 1970, con Nanni Loy nel ruolo del protagonista.
Nelle Città invisibili – una sorta di poetica riscrittura del Milione di Marco Polo, dove Calvino mette in campo tutta la sua passione per la letteratura come gioco combinatorio – un’altra riflessione profonda: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Italo Calvino non si ferma mai. Nel 1957 lascia il Partito comunista dopo che l’Unione Sovietica ha invaso l’Ungheria, nel 1964 si sposa e l’anno dopo ha una figlia, Giovanna. Amico e ammiratore di Ernesto Che Guevara, vive per lunghi anni a Parigi, inserendosi nel mondo culturale francese. Tornato in Italia, collabora anche con Radio Rai e continua a viaggiare moltissimo, ricevendo premi e riconoscimenti in tutto il mondo. Muore il 19 settembre 1985.
Escono postumi molti libri fra cui: le stesse Lezioni americane (1988), La strada di San Giovanni (1990), Perché leggere i classici (1991). In quest’ultimo titolo c’è un’altra frase illuminante di Calvino: un classico è un libro «che non ha mai finito di dire quel che ha da dire».
Un’osservazione speciale merita il rapporto di Calvino con il cinema. Ricordiamo due aspetti importanti. Il primo riguarda il classico della Commedia all’italiana I soliti ignoti di Mario Monicelli (1958): l’idea di base è tratta dal racconto Furto in una pasticceria, contenuto in Ultimo viene il corvo (1949).
Il secondo aspetto riguarda il film a tecnica mista (dal vero e animazione) che nel 1969 porta al cinema Il cavaliere inesistente, regia di Pino Zac. Forse solo il linguaggio dell’animazione – così poetico, fantasioso e colorato – riesce a catturare il mondo di Italo Calvino. Soprattutto il suo amore incondizionato per i classici. Anche Calvino, a sua volta, è diventato un classico che non finisce mai di dire quello che ha da dire.
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