In Italia vince la destra sovranista
Il primo fronte, la destra, ha dati crescenti, complessivamente è lo schieramento di punta nel Paese. Lo guida la Lega, Salvini è il leader incontrastato. È uno schieramento a trazione estremista. Viene premiato chi sta più a destra, su posizioni che oggi definiamo “sovraniste”.
Il secondo raggruppamento, quello di sinistra, esce fortemente ridimensionato. Tanto più che alcuni partiti più piccoli non riescono a superare il quorum disperdendo così un patrimonio di voti che rimane inutilizzato e che non si tradurrà in seggi. È uno schieramento a trazione moderata. Le posizioni più estreme palesano i loro errori: la divisione non paga. Se uniti oggi avrebbero conquistato una rappresentanza a Bruxelles. La leadership rimane saldamente nelle mani del Pd che, pur ridimensionato nei voti, tiene e avanza. Perde però un numero enorme di seggi, visto che il raffronto è con i dati di cinque anni fa, quelli, per intenderci, del “boom” di Matteo Renzi.
Destra a trazione estremista, sinistra a trazione più moderata, anche se Nicola Zingaretti sta provando a recuperare l’identità di un partito di sinistra, capace di rappresentare istanze dei ceti meno abbienti e delle esigenze di crescita del paese.
Salvini parla da vincitore e promette che nulla cambierà nelle alleanze. Con questi numeri, le elezioni anticipate non convengono a nessuno. I risultati, stranamente, rafforzano il governo attuale, più per inerzia (cioè per mancanza di alternative) che per forza reale. Salvini promette fedeltà al contratto e assicura che non chiederà nemmeno «mezzo ministero in più». È altrettanto chiaro, però, che pretenderà di contare di più negli equilibri di forza interne e nelle scelte finali. Su molti obiettivi, non esistono vie di mezzo. La flat tax: o si fa, oppure no. La Tav: o si fa oppure no. Da Oggi Salvini farà sentire la sua voce. Se lo ha fatto fino a qualche giorno fa, nonostante partisse dal 17 cento, ora farà di più. Il “peso specifico” è aumentato. Un dato: Salvini supera il 40 per cento al Nord. Al Sud avanza, ma non sfonda.
Il calo dei 5 Stelle è accentuato dalla bassa affluenza di votanti al sud. Qui si attestano ancora sul 30 per cento e restano il primo partito, ma la bassa affluenza alle urne “lima” il loro risultato. Probabilmente, riconsegnano al Pd una parte di quell’elettorato di sinistra che li aveva seguiti speranzoso e che, deluso, è tornato sui suoi passi. Difficile far digerire a sinistra le posizioni e le scelte di Salvini. Altro dato: il “reddito di cittadinanza” è stato apprezzato, ma spesso non si traduce in consensi. In alcune zone il voto per le Europee, per larghe frange della popolazione, non è stato sufficientemente compreso.
L’Europa rimane lontana e, ancor di più, i programmi per l’Europa dei singoli partiti, rimasti abbondantemente “dietro le quinte” rispetto alle motivazioni nazionali. Alzi la mano chi ha provato a leggerli tutti! I 5 Stelle sono sconfitti. È questo il dato più certo. I rapporti di forza con la Lega si sono diametralmente invertiti. Ma se per un anno e mezzo, nonostante il 33 per cento, i 5 Stelle sono stati surclassati dal decisionismo della Lega, ora questo dato si accentuerà.
Molti prevedevano una crisi di governo dopo le Europee. I risultati non aiutano questo scenario. Salvini ha vinto, è vero, ma le urne non gli regalano la prospettiva di un governo diverso rispetto a quello attuale. Dove alcune scelte potrebbero essere difficili e portare in un vicolo cieco. A partire dalla flat tax che l’Europa potrebbe non consentirci se non si trovano le risorse per garantire la copertura finanziaria.
Sia per Salvini che per Di Maio le alternative sono minime. E le prossime mosse potrebbero portare con se il peso di un azzardo. Tutti sembrano imprigionati dal loro stesso risultato.