Italia, il ruolo decisivo della legge elettorale

Come dimostra il caso statunitense, è decisiva, in un sistema democratico, la scelta condivisa della legge elettorale. Dopo il taglio del numero dei parlamentari, decisa con il referendum, l’Italia è chiamata a definire, in tempo utile, un nuovo sistema di elezione di deputati e senatori. Un contributo per il dibattito
AP Photo/Andrew Medichini

Legge elettorale e democrazia. Con la vittoria del Sì al referendum, il Parlamento riduce il numero dei suoi componenti. Erano 945, tra Camera e Senato, e diventano 600 (400 alla Camera e 200 al Senato). Se non ci saranno elezioni anticipate, la riforma sarà applicata a partire dal 2023.

Si impone quindi l’approvazione di una nuova legge elettorale, che tenga conto della riduzione. Nel mio ultimo articolo su cittanuova.it, segnalavo che il taglio potrebbe avere un effetto di distorsione della rappresentanza. Mi spiego con un esempio: è difficile distribuire equamente 3 cappelli tra 5 figli.  Qualcuno andrà in giro a capo scoperto. Lo stesso rischia di avvenire in regioni italiane che distribuiscono 3 senatori, tra 4 o 5 partiti. La direzione che ha preso il dibattito politico è, quindi, quella di eliminare i collegi uninominali della precedente legge elettorale (che si portavano via dei seggi da assegnare) e di tornare verso un sistema proporzionale. Il Rosatellum attualmente in vigore, infatti, è un sistema misto maggioritario-proporzionale: il 36% dei seggi viene assegnato con un sistema maggioritario (e quindi ai candidati dei collegi uninominali), il restante 64% con un sistema proporzionale.

La maggioranza di governo ha quindi redatto nuova proposta di legge, che ha ottenuto il via libera della commissione Affari costituzionali. Il testo è frutto dell’accordo raggiunto dalla coalizione lo scorso autunno. A favore M5s e Pd, mentre Leu si è astenuta. Contrarie le opposizioni, anche se il testo non dispiace a tutti.

La proposta di legge si compone di tre articoli e si basa su 4 principii: abolizione dei collegi uninominali, impianto proporzionale, soglia di sbarramento nazionale al 5%, previsione del “diritto di tribuna” per i piccoli partiti.

Non viene affrontata nel testo la questione della scelta dei parlamentari, se si opterà per listini bloccati o, invece, si ritornerà alle preferenze, come chiede M5s. Il dibattito è serrato. Il timore di perdere il controllo da parte del vertice dei partiti, il rischio del clientelismo, i costi maggiori delle campagne elettorali. Molte sono le ragioni, dette e non dette, della contrarietà alle preferenze.

Come si diceva, dovrebbe essere poi introdotto il “diritto di tribuna”: il meccanismo garantisce la rappresentanza anche alle forze politiche minori, che non superano lo sbarramento nazionale del 5%. Si prevede che, alla Camera, siano eletti i candidati di quelle formazioni che ottengono almeno tre quozienti in almeno due regioni, mentre al Senato siano eletti i candidati che ottengono almeno un quoziente nella circoscrizione regionale.

Occorrerà poi una nuova mappa di collegi. Il Governo ha 60 giorni di tempo per disegnare i collegi. La nuova mappa deve correggere le distorsioni figlie della nuova norma (in alcune Regioni l’opposizione potrebbe non essere rappresentata al Senato).

Si discute poi, nel mondo politico e dei costituzionalisti, delle riforme immediatamente conseguenti al taglio. Occorre infatti rivedere il sistema di elezione del presidente della Repubblica (dovrebbe essere rivista al ribasso l’attuale quota di 58 delegati regionali) e soprattutto i regolamenti parlamentari.

Nel contempo si discute il via libera per il voto ai diciottenni per eleggere i senatori e l’età minima dei candidati per essere eletti in Senato (potrebbe essere abrogato lo storico limite minimo di età di 40 anni). Su questo profilo si discute molto. Le due Camere avrebbero a questo punto, una stessa composizione, sia come elettorato, sia come candidati. Insomma, rischiano di divenire l’una il doppione esatto dell’altra.

Non ci si può nascondere, in definitiva, che è lo stesso modello bicamerale ad essere in crisi, in questa fase storica. Se alle due Camere non viene restituita una qualche forma di differenziazione, almeno nelle funzioni, è probabile che il prossimo tema all’ordine del giorno sarà quello del monocameralismo.

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