Nuovi equilibri dal voto
La guida politica di Matteo Salvini ha condotto la Lega ad essere il maggior partito italiano, oltrepassando le previsioni pur favorevoli delle elezioni europee del 26 maggio 2019. Nel precedete voto del 2014 il movimento fondato da Umberto Bossi era fermo al 6,2% dei voti, confermando un radicamento in certe roccaforti del Nord, nonostante le vicende giudiziarie legate alla gestione dei fondi elettorali.
Oggi la Lega in versione nazionale sfonda il muro del 34% dei votanti. Cinque anni fa il Pd, a guida Matteo Renzi, sfiorò il 41%. Un risultato clamoroso che lo stesso segretario dem avrebbe voluto sfruttare andando subito alle elezioni politiche. Un progetto,poi, andato in fumo, così come la proposta di riforma costituzionale e legge elettorale imperniata sul premio di maggioranza legato al superamento della fatidica soglia del 40%.
Il sistema proporzionale delle elezioni europee ci consegna una fotografia delle forze politiche con Forza Italia calante al 8,8% (16,8% nel 2014) e Fratelli d’Italia in crescita al 6,5% (3,7% nel 2014). Un blocco sociale e politico che, nonostante le schermaglie a livello nazionale, appare molto coeso a livello territoriale con una Lega salviniana egemone.
Il suo leader sa usare un linguaggio semplice che, ad esempio, nella conferenza stampa di primo commento sui risultati, ha coniugato il richiamo ai valori dei popoli contro la dirigenza europea manovrata dalle multinazionali, il taglio delle tasse, il richiamo alla sicurezza e l’ostentazione di simboli identitari religiosi.
A prescindere dalla capacità di reale influenza a livello degli equilibri nel Parlamento europeo, la vittoria del Carroccio rappresenta una investitura e una conferma del consenso popolare su questioni laceranti, come la gestione dei flussi migratori e la perenne polemica sulla chiusura dei porti.
Ci si interroga ora sul destino del M5S che, pur reggendo nel Sud, arretra anche di fronte alle precedenti elezioni europee, passando dal 21,1% al 17,1%, ma subisce un vero dimezzamento rispetto al 32,68% rispetto alle politiche del 2018. Un ribaltamento di forze che Salvini farà valere senza alcun dubbio, come annunciato ad esempio con riferimento alla politica delle grandi opere, a cominciare dalla Tav in Piemonte.
Come è noto, Beppe Grillo ha rappresentato il suo Movimento, fondato assieme a Casaleggio, come una vera alternativa di fronte alla crescita del malcontento incanalato, altrove, dalla destra. Dopo un anno di esecutivo giallo verde, sembra che tale argine stia cedendo e che, al contrario, l’esecuzione del “contratto di governo” si stia rivelando lo strumento per l’ascesa irresistibile della Lega salviniana.
Con il 21,7%, il Pd a guida Zingaretti è in risalita rispetto al tonfo delle politiche del 2018 (18,72%), ma conferma il grave arretramento rispetto alle europee del 2014 (40,8%). Una formazione politica che probabilmente deve ancora affrontare un dibattito interno sul suo futuro.
Riesce difficile immaginare, in chiave di elezioni politiche e con qualsiasi sistema elettorale, una coalizione vincente con altre formazioni (solo) teoricamente vicine, ma assai deboli. I liberal radicali di Più Europa sono fermi al 3,1%, la Sinistra crolla al 1,7% (aveva il 4% nel 2014), i Verdi crescono inaspettatamente al 2,3% (0,9% nel 2014) ma restano lontani dai numeri dei cugini europei.
Resta, come al solito, il rebus degli elettori che non sono andati a votare. L’Italia ha visto un ulteriore calo dei votanti dal 58,69% delle europee del 2014 al 56,10% del 2019. Solo un trend comune in Occidente o una carenza di proposta politica?
L’analisi per regioni, città e quartieri permetterà di capire meglio il quadro complessivo di un voto che, comunque, appare molto più mobile delle competizioni di altre epoche dove le formazioni intermedie rappresentavano un punto di stabilità culturale e valoriale.
Nel frattempo, non bisogna sottrarre lo sguardo su ciò che avviene, in queste ore, fuori dalla cronaca sulla competizione elettorale. Il licenziamento in tronco, senza preavviso, di 1.800 persone del gruppo commerciale “Mercatone uno” e la strategia industriale dell’accordo tra la Fca post Marchionne e la Renault.
Eventi che sembrano restare fuori dalla capacità reale di incidere del singolo cittadino. Una fragilità che, forse, spiega molti dei timori e delle pulsioni profonde che orientano il voto, così come l’astensione.