Italia e missione militare in Mar Rosso, quale difesa attiva?
L’Italia repubblicana sembra non aver mai dichiarato guerra a nessun altro Paese, dato che lo stato di guerra lo dovrebbe dichiarare il presidente della Repubblica (art. 87 della Costituzione, dopo delibera delle Camere art. 78).
Complessivamente dal secondo dopoguerra ad oggi le nostre FF.AA. nei fatti hanno compiuto ben 120 missioni all’estero, per tre quarti condotte all’interno di organizzazioni internazionali (soprattutto ONU, NATO e UE).
In realtà autentiche missioni di guerra (imposizione della pace, peace enforcement) sono state condotte dalle nostre forze armate più volte, dall’Iraq alla Libia sino all’Afghanistan. Qui i nostri soldati hanno effettivamente combattuto come è stato rivelato nel recente libro di Giampaolo Cadalanu e Massimo De Angelis La guerra nascosta, dove vengono riportate le voci dei militari impegnati in queste azioni.
Ugualmente una partecipazione attiva in Libia con 456 bombardamenti veri e propri emerge dal volume Missione Libia 2011. Il contributo dell’Aeronautica Militare presentato nel 2012 dallo stesso capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare, il generale Giuseppe Bernardis.
Oggi, di fronte alle drammatiche vicende israelo-palestinesi e all’ampliamento del fronte bellico, assistiamo al diretto intervento militare statunitense contro gli houthi yemeniti, che, dichiarando la loro solidarietà con il popolo palestinese, hanno cominciato da quasi tre mesi ad attaccare le navi mercantili con destinazione o da Israele che tentano di transitare attraverso lo Stretto di Baab el Mandeb nel Mar Rosso per giungere al Canale di Suez.
La pericolosità di tali azioni si è subito rivelata alta, tanto che il 7 gennaio la riduzione del traffico marittimo attraverso Suez era del 53% inferiore rispetto all’anno precedente, costringendo le navi a circumnavigare l’Africa con un percorso più lungo di almeno 10 giorni e quindi con un aumento dei costi di trasporto delle merci significativo.
Gli USA hanno lanciato l’operazione Prosperity Guardian guidata da Washington, con numerosi attacchi verso lo Yemen, a cui adesso sembra voler partecipare attivamente anche il governo italiano. Infatti il nostro ministro degli Esteri Tajani ha dichiarato a Rainews.it che «l’Italia sta già proteggendo le navi. Però noi vogliamo allargare la zona di competenza della missione europea. Oggi le nostre navi militari hanno il compito non solo di scortare ma di difendere, quindi sono autorizzate anche ad aprire il fuoco o ad abbattere missili o droni. Non solo scorta, ma difesa militare attiva».
Per questo si pensa ad una missione UE sulle tracce di un’altra già in atto, la EU NAVFOR Somalia – operazione Atalanta, che opera per prevenire e reprimere gli atti di pirateria marittima lungo le coste degli stati del Corno d’Africa, tanto che il ministro della Difesa Crosetto afferma che non ci sarebbe bisogno di alcun passaggio parlamentare, mentre Tajani ipotizza appunto un passaggio specifico a livello europeo.
Quindi, al momento attuale, il governo italiano, pur nella comune intenzione d’intervenire militarmente in quell’area, ha opzioni diverse (rinforzare Atalanta o predisporre nuova missione), ma un fatto è sicuro: per ora le regole d’ingaggio sono comunque di una difesa attiva verso qualunque attacco (droni o missili).
Dovremo attendere il passaggio a livello UE per comprendere l’evoluzione della vicenda, ma attualmente possiamo rilevare tre aspetti.
Il primo è che, come al solito, l’ONU è totalmente esclusa ed emarginata dalla gestione di questa crisi, paralizzata dall’ingiusto privilegio dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza circa il diritto di veto, e l’intera vicenda viene gestita da una coalizione a geometria variabile guidata da Washington che avrà probabilmente il supporto di un’altra coalizione dell’UE.
Il secondo aspetto è relativo allo Yemen e agli houthi, che hanno ricevuto bombe d’aereo MK-80 dell’azienda italiana RWM non come acquirenti, ma come obiettivo dei bombardamenti da parte saudita (loro sì nostri acquirenti) nella guerra a lungo dimenticata dello Yemen, dove la coalizione guidata da Riad e sostenuta dagli USA si è scontrata con i ribelli Houthi filoiraniani. È un conflitto decennale con 370 mila vittime, in gran parte civili, 4,5 milioni di profughi e 22 milioni di persone necessitanti di assistenza umanitaria.
Il terzo riguarda le conseguenze del conflitto israelo-palestinese che sta agendo da catalizzatore per le varie crisi in atto nel mondo, per cui dalla terza guerra mondiale a pezzi (isolati) sembra che si stia passando ad uno scontro su aree sempre più vaste ed interconnesse. Mentre la Russia sta lentamente riprendendo terreno in Ucraina e la Cina osserva con apparente distacco il caos mondiale, le nubi all’orizzonte diventano sempre più fosche in assenza di una diplomazia capace di scegliere altre strade.
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