Italia e caccia bombardieri F35
Anche i più distratti avranno visto, forse, le immagini che paragonano l’equivalente del costo di un caccia bombardiere F35 ( 150 milioni di euro ) in asili nido, case o posti di terapia intensiva (almeno 2 mila secondo il fondatore di Emergency Gino Strada).
Resta il fatto che le spese per la “difesa” rientrano nel bilancio di uno stato nazionale che, non avendo abolito le forze armate, deve dotarsi delle armi pesanti per ragioni di sicurezza nazionale, in conformità alle alleanze internazionali che ci vedono schierati con gli Stati Uniti e la Nato.
Il nuovo concetto strategico di difesa
La commessa industriale dei velivoli della Lockheed Martin (stimata come acquisto per l’Italia da 13 a 17 miliardi di euro) rientra tra le questioni di grande rilevanza sottratte ad un vero dibattito pubblico. Si continua, infatti, a parlare genericamente di “difesa” come se si trattasse di presidiare le nostre frontiere, ignorando il nuovo concetto strategico di difesa atlantica che, dal 1991, ci impegna ad intervenire militarmente in ogni luogo dove gli “interessi comuni” vengono minacciati.
La Lockheed Martin è la prima produttrice di armi al mondo, strettamente collegata con l’amministrazione statunitense che nel 2019 ha registrato una spesa militare pari a 732 miliardi di dollari su un totale di 1.917. Un record della corsa agli armamenti che coinvolge non solo la Russia post sovietica ma una pluralità di soggetti, a cominciare dal risveglio della Cina e dell’India, e protagonisti come Arabia Saudita e Israele, oltre la Turchia, il secondo esercito dell’Alleanza atlantica.
Un mercato così allettante che ha finito per orientare il gruppo pubblico Finmeccanica, ora Leonardo, a concentrare sempre di più la propria produzione proprio in questo settore bellico, dismettendo società di avanguardia in campo civile (ad esempio, elettronica e trasporti).
Una strategia fortemente consigliata negli anni 90 dai consulenti statunitensi della Mc Kinsey, come ci ha testimoniato l’ex presidente di Confindustria Genova, Stefano Zara, che ha vissuto direttamente quegli anni cercando di salvaguardare il patrimonio industriale civile concentrato nella sua città, strettamente determinata dai collegamenti offerti dal suo porto.
Secondo Zara, che sarà poi brevemente in parlamento nella stagione dell’Ulivo, tali scelte, condivise da governi di diverso colore, vanno lette nel nuovo collocamento geopolitico dell’Italia determinato dalla scomparsa di Aldo Moro.
Un progetto con grandi sponsor
Come ci ricorda Michele Nones, dell’Istituto Affari internazionali (Iai), «la partecipazione al programma americano per il velivolo da combattimento F-35 fu presa dalle Forze armate e dal ministro della Difesa Andreatta alla fine degli anni Novanta».
L’esponente dell’Istituto fondato da Altiero Spinelli, precisa che, in effetti, «l’industria avrebbe preferito aspettare un’ipotetica soluzione europea», ma i francesi seguirono un percorso nazionale mentre i tedeschi decisero di «non investire più, per oltre un decennio, in velivoli di nuova generazione». La commessa F35 risponde, perciò, in tale visione, all’esigenza di consolidare i rapporti transatlantici rendendo «più competitiva l’industria italiana».
Il prestigioso Iai è fortemente convinto della bontà di tale strategia, come ci ha ripetuto più volte, in diverse interviste, il generale Vincenzo Camporini, vicepresidente dell’Istituto e già capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare.
Altro grande sostenitore del progetto F35 è il generale Leonardo Tricarico, anch’egli ex capo di stato maggiore della stessa Arma, nonché presidente della fondazione Icsa (Intelligence Culture and Strategic Analysis) promossa, nel 2009, dall’esponente Ds (ex Pci) Marco Minniti, poi ministro Pd, assieme all’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Tricarico ha sempre sostenuto la forte ricaduta occupazionale dell’alleanza con la Lockheed Martin. Il dossier ufficiale della Camera dei deputati parla di un «ritorno tecnologico-industriale legato alla Final Assembly and Check Out (Faco) di Cameri (Novara), che darà occupazione a 1.500 persone e circa 10.000 con l’indotto».
Le alternative possibili
Numeri contestati e da ridimensionare drasticamente secondo Gianni Alioti, per lungo tempo responsabile dell’ufficio internazionale della Fim Cisl, che ha,invece, sostenuto l’errore di politica industriale di un progetto internazionale che ci vede, al contrario della Gran Bretagna, solo partner di secondo livello. Subalterni, cioè, alla linea di comando Usa anche per quanto riguarda la vendita a Paesi coinvolti in azioni belliche.
Dati alla mano, Alioti ha indicato l’opportunità di orientare la produzione in quello che oggi si chiama “green deal”, con effetti moltiplicativi sui posti di lavoro qualificati e in tecnologia. Il metalmeccanico cislino proviene dalla corrente di pensiero sindacale che risale ad Alberto Tridente, e alla stagione unitaria della FLM, determinata a far riconoscere ai lavoratori il diritto a incidere sulle scelte su “cosa, come e per chi produrre”. A maggior ragione in aziende con capitale pubblico.
Anche esperti di tutt’altra estrazione come il fondatore di Analisi Difesa, Gianandrea Gaiani, sono convinti della non convenienza, anzi del danno, per gli interessi nazionali della commessa F35.
Rete italiana disarmo e Sbilanciamoci hanno continuato in questi anni, da parte loro, a produrre invano studi e proposte alternative di spesa pubblica. L’ultimo tentativo di ridurre il condizionamento del progetto F35 sulla nostra politica risale all’iniziativa di Gian Piero Scanu, deputato Pd proveniente dal Partito popolare, di dimezzare l’impegno di spesa iniziale (destinata a lievitare nel tempo) da 13 a 6,5 miliardi di euro.
La mozione Scanu, non ricandidato in questa legislatura, è stata approvata nel 2014 ma progressivamente rimossa fino all’approvazione, il 19 novembre 2019, alla Camera, della mozione che conferma, invece, l’integralità del progetto F35. Un cambio di linea anche per i 5 Stelle, nonostante le 50 firme a sostegno dell’interrogazione “stop F35” presentata dal senatore M5S Gianluca Ferrara.
Fine della partita?
Nel pieno della pandemia da coronavirus è insorta, tuttavia, una nuova consapevolezza sulla necessità di orientare la politica economica sui beni “comuni” piuttosto che nella filiera transnazionale degli armamenti.
In questo senso si è pronunciata la Commissione pastorale sociale e del lavoro di Piemonte e Valle d’Aosta (“Sì al lavoro per la pace, no al lavoro per la guerra”) in continuità con l’impegno costante della diocesi di Novara nel cui territorio si trova l’aeroporto di Cameri, centrale per il programma F35.
Negli anni si sono avuti incontri diretti tra i vertici militari e Renato Sacco, coordinatore nazionale di pax Christi, parroco a Cesara, un piccolo paese vicino Cameri.
Un confronto apparentemente sproporzionato e ormai segnato dal fatto che la partita sembra già finita. La portaerei Cavour è stata attrezzata in vista dei caccia bombardieri programmati per trasportare anche gli ordigni atomici presenti nelle basi Usa in Italia di Aviano e Ghedi.
Ma conoscere l’importanza della vicenda collegata alla strategia miliardaria dei Joint Strike Fighter-F35 ( il progetto iniziale prevedeva 323 miliardi di dollari solo per gli Usa) aiuta a comprendere le scelte politiche che contano nel nostro Paese e i tanti progetti che si muovono intorno a nuove commesse collegate agli scenari di guerra che ci vedono coinvolti.
Avendo presente, come ci ha detto il generale Fabio Mini, grazie alla sua esperienza di capo di Stato maggiore del comando Nato per il Sud Europa, che «dobbiamo rivedere il significato stesso di interesse nazionale e internazionale di sicurezza e stabilità, che non può coincidere con nuove guerre e nuove instabilità».
Da queste ragioni nasce la proposta dell’incontro del 26 febbraio 2020 alle ore 21, su web “L’Italia e Il mistero degli F35” dedicato all’emblematica commessa dei caccia bombardieri che coinvolge il nostro Paese e le reali prospettive alternative di politica economia e industriale.
Per approfondire in libreria sul sito editrice Città Nuova
Simoncelli, Camporini, Gaiani, Cefaloni
Maurizio Simoncelli
Terra di conquista (ambiente e risorse tra conflitti e alleanze)