Italia e Arabia Saudita, le domande che restano
Nelle fasi concitate della caduta del secondo governo guidato da Giuseppe Conte, il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, si è recato in Arabia Saudita per partecipare ad una conferenza pubblica organizzata dalla monarchia regnante e incentrata sul ruolo di quel Paese chiamato a realizzare gli obiettivi della Saudi Vision 2030 di crescita sul piano civile e dell’economia.
In quella occasione hanno destato molte polemiche le affermazioni entusiastiche di Renzi, davanti al principe ereditario Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd, sul “Rinascimento” attuale dell’Arabia Saudita messo in collegamento con il famoso periodo storico legato a Firenze, città di cui il senatore è stato sindaco.
Come capita spesso, la vicenda, pur clamorosa, è scivolata via rapidamente dai riflettori, nonostante il nuovo atteggiamento della presidenza Usa che, con Joe Biden, pur mantenendo i saldi rapporti con il suo alleato strategico in Medio Oriente, ha interrotto la fornitura di armi collegate con la guerra in corso in Yemen e ha censurato severamente, arrivando alla diffusione del relativo rapporto dell’intelligence statunitense, il comportamento del principe saudita con riferimento all’assassinio, nel 2018, del giornalista saudita Khashoggi, editorialista del Washington Post.
Finita la delicata fase della crisi di governo che ha portato, in Italia, alla formazione dell’esecutivo di emergenza nazionale guidato da Mario Draghi, il responsabile Economia del Pd, Emanuele Felice, ha invitato pubblicamente Matteo Renzi, in un lungo articolo pubblicato il 23 febbraio sulla prima pagina del quotidiano Domani, a chiarire la questione aperta della sua consulenza, quale senatore della Repubblica, con il regime di Riyad.
Il professor Felice, titolare della cattedra di politica economica presso l’università di Chieti-Pescara, ha accettato di essere intervistato per rispondere, nel merito, sulla questione che ha sollevato e, in generale, sulle scelte che il governo Draghi è chiamato a compiere in questi mesi decisivi.
Abbiamo letto il suo lungo intervento sulla prima pagina del quotidiano Domani, dove chiede a Matteo Renzi di rispondere sui soldi ricevuti dai sauditi. Ma il legame dell’Italia con quel Paese è molto stretto come dimostra il memorandum di intesa siglato a gennaio dal ministro degli Esteri Di Maio. Come dovremmo gestire tali tipi di rapporti a suo parere?
Bisogna saper distinguere i rapporti istituzionali economici e commerciali tra due Paesi, dal comportamento di Renzi verso il regime saudita. Prima ancora che a livello nazionale, comunque, ritengo che sia necessario stabilire una linea di condotta condivisa dall’Unione europea per capire come gestire la relazione fra le nostre democrazie e regimi così oppressivi.
Ma noi vendiamo navi da guerra al regime saudita tramite Fincantieri, mentre Leonardo produce in parte i jet Eurofighter Typhoon usati dalla coalizione saudita nella guerra in Yemen. Non si tratta di una questione di politica industriale da tenere in considerazione in vista del Next Generation Eu?
Il problema, a mio giudizio, si pone. Va detto però che Fincantieri e Leonardo sono aziende pubbliche nel senso che lo Stato nomina i suoi vertici, ma per il resto operano con autonomia.
Eppure ad esempio Fabrizio Barca ed Enrico Giovannini, ora neoministro ai Trasporti, hanno chiesto di affidare una missione strategica di sostenibilità alle imprese pubbliche senza ridursi alla ricerca degli utili per gli azionisti…
Condivido pienamente questa posizione. Dobbiamo riflettere sulle regole di funzionamento di queste società, che sono controllate dallo Stato ma operano come privati sul mercato e decidono di fare affari anche con le peggiori autocrazie. Peraltro non solo con i sauditi come sappiamo. È un tema che rientra nell’etica delle imprese che chiama in gioco la responsabilità della proprietà. E che è pubblica in questo caso. Attenti però. Questo è un tema. Altra cosa, come già detto, è il comportamento di un leader politico in carica che sponsorizza, con una conferenza retribuita, un regime oppressivo tra i peggiori al mondo. Anche se pienamente legale.
Ma Renzi non è, comunque, un vostro alleato di governo?
In questo tipo di governo di unità nazionale ci andrei cauto con la definizione di alleato; altrimenti lo saremo anche con Salvini. È una fase di emergenza che ci vede assieme per necessità, non per alleanza politica. Per questo ritengo opportuno porsi la domanda: possiamo dirci in futuro alleati con Renzi? Abbiamo una comunanza dei valori sui diritti umani?
È una domanda che dovrebbe emergere nel congresso del partito che prima o poi farete? Certo. Ma credo che dobbiamo porla già a partire dalle prossime elezioni amministrative. Anche a tale livello dovremo confrontarci con i rappresentanti locali di Italia Viva per sapere se ci ritroviamo nella stessa visione democratica, progressista e liberale. Se non prendono le distanze dal comportamento del loro leader in Arabia Saudita, siamo incompatibili. Da parte sua Renzi deve comunque delle risposte. E naturalmente non basterà dire di aver sbagliato. Servono gesti concreti, li deve a tutti quelli che si battono ogni giorno per i diritti umani, spesso mettendo in gioco la propria vita. Ad esempio potrebbe devolvere il compenso ricevuto dai sauditi alle associazioni che si battono per i diritti umani. Dobbiamo essere particolarmente esigenti proprio perché si tratta di un ex segretario del Pd.
Restando a livello dei valori di riferimento come vede il passaggio, dal Conte 2 a Draghi, nel ruolo di consigliere economico del presidente del Consiglio da Mariana Mazzucato al liberal liberista Francesco Giavazzi?
Indubbiamente rappresentano due visioni molto diverse. Tuttavia ho letto degli editoriali recenti di Giavazzi, studioso di valore, che denotano un ripensamento della sua visione prettamente liberista in economia, così come un’apertura a politiche keynesiane. I tempi cambiano per tutti, è cambiato anche il contesto generale. Non ho preclusioni nei suoi confronti.
Quali sono a suo parere i punti discriminanti nel campo della politica economica?
Quelli che abbiamo posto da sempre e cioè la riduzione delle diseguaglianze sociali e di genere, l’importanza di colmare il divario Nord-Sud, la reale conversione ecologica che il Recovery plan è chiamato a compiere.
E ancora: riformare il fisco per renderlo più semplice e più giusto. È chiaro che nel governo Draghi convive tutto e il contrario di tutto, con ministri e sottosegretari schierati su posizioni diametralmente opposte su queste e altre questioni. Non mi nascondo la preoccupazione verso scelte che sono destinate a rimanere per diversi anni. Occorre una forte vigilanza e noi del Pd faremo la nostra parte nella intensa dialettica politica che si sta sviluppando in questi mesi decisivi. Draghi è, ad ogni modo, persona di grande prestigio ed esperienza. Sa come muoversi ed è abituato a operare anche fra ambienti molto diversi tra loro.
Per approfondire leggi qui Transizione ecologica e politica delle armi