Istruzione per tutti

La Didattica a distanza ha salvato l’anno scolastico, ma ha evidenziato le differenze sociali, aumentando la dispersione. Cosa accadrà a settembre?

«Mi sento in dovere, a nome dell’amministrazione scolastica che rappresento, di scusarmi con voi bambini e ragazzi e con le vostre famiglie per questa impensabile conclusione» dell’anno scolastico. «Siete voi a dovervi sacrificare per la sicurezza del Paese, unici a non poter riprendere la vostra attività: è triste doverlo ammettere e riconoscere che lo Stato non è in grado di garantirvi il pieno diritto all’istruzione, inutile nasconderlo». La lettera di Giuseppe Bonelli, provveditore reggente dell’Ufficio scolastico nella provincia di Mantova, spiega bene i limiti della Didattica a distanza (Dad), o “di emergenza”, sperimentata durante la pandemia. Arrivati a giugno, finalmente la scuola è (quasi) finita ed è tempo di bilanci. La Dad ha salvato l’anno scolastico, ma ha messo a dura prova insegnanti, studenti e famiglie, alle prese con una rivoluzione tecnologica da affrontare con pochi mezzi, una connessione instabile, se non inesistente, e privi della reciproca presenza.

La pandemia ha tolto il velo all’arretratezza digitale del Paese, facendoci comprendere che non basta uno smartphone per essere esperti ed evidenziando «la necessità – secondo quanto scrive l’Istat – di avere a casa spazi sufficienti e una strumentazione informatica adeguata per seguire le lezioni a distanza». Invece, più del 41% dei minori vive in condizioni di sovraffollamento e una famiglia su tre non ha un computer o un tablet e la situazione peggiora al Sud. Dal punto di vista tecnologico, con uno sforzo enorme delle scuole e del governo, sono stati forniti pc e tablet agli studenti che ne erano privi. La Dad, ha detto il ministro Lucia Azzolina, ha raggiunto il 94% degli studenti. Resta escluso un 6% e questo è inaccettabile. Critica la situazione delle scuole paritarie, soprattutto cattoliche, arrivate a indire un clamoroso sciopero a fine maggio. A causa della crisi, la maggioranza delle famiglie non ha pagato le rette. Per i vertici dell’Usmi e della Cism, servono i fondi per andare avanti.

Penalizzati gli studenti più fragili
«La Didattica a distanza per chi ha bisogno di sostegno è stata complicata. Laddove i casi sono gravi o non c’è stato un supporto familiare valido per lo studente, è stata un fallimento». Gli insegnanti di sostegno, spiega una sindacalista, lavorano molto sulla socialità, sull’inserimento dello studente nel gruppo classe: questo è uno degli obiettivi prioritari che è mancato nella Dad. Lo stesso è accaduto per gli alunni con Dsa (Disturbi specifici dell’apprendimento), che «necessitano di un tutoraggio, con la semplificazione degli esercizi e percorsi differenziati, ma pochi docenti ci sono riusciti e questo è stato un grave gap della Dad, senza contare le difficoltà per questi studenti di fissare uno schermo, concentrarsi e stare seduti per lungo tempo».

Tanti problemi anche per i bambini con bisogni educativi speciali (Bes), come per gli allievi stranieri o che necessitano di una mediazione culturale. Alcuni contenuti per loro sono rimasti inaccessibili. «I bambini portatori di qualsiasi disagio fisico, intellettuale o sociale – spiega Patrizia Bertoncello, maestra di scuola primaria e formatrice – sono stati enormemente penalizzati dalla pandemia, perché per loro la scuola in presenza e il rapporto con compagni e insegnanti è un luogo di protezione, normalità e relazioni sane, che li sostengono nei loro percorsi purtroppo accidentati».

La Didattica a distanza ha reso più evidenti le disuguaglianze sociali. Secondo un’indagine della Comunità di Sant’Egidio, a Roma più del 60% dei bambini tra i 6 e i 10 anni (su un campione di 800 iscritti) non ha seguito le videolezioni. Il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo, lancia un appello affinché, appena possibile, siano riaperte le scuole e sia data la possibilità, ai volontari, di fare lezioni per colmare la povertà educativa provocata dalla pandemia. Richiesta simile dal Forum Disuguaglianze e Diversità, che auspica anche un approccio partecipativo, cooperativo e solidale per favorire la partecipazione diffusa ai processi di riapertura e di decisione locale.

 Cosa succederà a settembre?
Molto dipenderà dall’andamento della pandemia, ma il ritorno a scuola con classi divise tra lezioni video e in presenza non convince le famiglie, che disperano di conciliare lavoro e figli; i docenti, che dovrebbero fare lezione per chi è in aula e chi è a casa, mescolando modalità di insegnamento diverse; e nemmeno gli studenti, che chiedono normalità. Una normalità penalizzata da classi pollaio, edifici scolastici spesso non a norma, dal personale delle pulizie insufficiente, da professori anziani, particolarmente a rischio in caso di recrudescenza della pandemia. E anche se il ministero ha assunto migliaia di nuovi docenti, il problema non è ancora risolto.

«Spinte dall’idea che “democrazia è partecipazione” – spiega la giornalista Barbara Tafuri –, abbiamo deciso di “partecipare” alla realizzazione della “nuova” scuola con idee dettate dall’essere innanzitutto mamme». Nasce così “La scuola si moltiplica, non si divide”, una proposta per moltiplicare spazi e risorse umane attraverso partenariati che coinvolgano centri di ricerca, associazioni ed enti pubblici, per trovare nuovi spazi dove fare lezione, dai cinema ai musei, senza dimenticare la parte migliore del Paese: i nostri figli.

A loro si è indirizzato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Come sarà il mondo di domani – ha detto – dipenderà in larga misura da voi, studenti di oggi. Anche per questo è importante continuare a sentirsi parte, protagonista, della comunità educante».

Un plauso va anche ai docenti. «Nella misura in cui noi insegnanti abbiamo puntato sulle relazioni più che sui contenuti – afferma ancora Bertoncello –, la didattica è riuscita a farsi prossima, a non essere a distanza, e ha funzionato. I bambini hanno bisogno soprattutto di socialità, tra di loro e con gli insegnanti, di continuare una relazione fatta di mille sfumature che lo schermo non riesce a trasmettere. Tutti gli insegnanti, e sono la stragrande maggioranza, che sono riusciti a tradurla attraverso i mezzi di comunicazione, hanno mantenuto vivo il desiderio di apprendere, di stare insieme, di imparare gli uni dagli altri, che sono le dimensioni più importanti della relazione educativa».

Intervista a Lucia Vollaro, dirigente scolastica dell’istituto comprensivo Virgilio IV di Scampia (Napoli)

Famiglie protagoniste contro la dispersione

Preside, come avete vissuto quest’emergenza da coronavirus?
Ho provveduto da subito ad “agganciare” allievi, professori e personale scolastico per assicurare la didattica, anche se a distanza. Non è stato semplice: i problemi economici, la mancanza di competenze informatiche dei genitori e dei più piccoli, le difficoltà tecnologiche legate all’utilizzo dei nuovi strumenti potevano creare un enorme svantaggio ai ragazzi. Le difficoltà ci sono state, ma è andata bene. Non sono mancati casi di dispersione scolastica: quelli che non seguivano prima del Covid-19 non lo hanno fatto neanche dopo, anche se con le lezioni live siamo riusciti anche a recuperare alcuni studenti.

Cosa serve per la Didattica a distanza?
Dietro la Didattica a distanza c’è un mondo fatto di impegno, buona volontà, necessità e risolutezza nel continuare a fare scuola. Noi ci siamo riusciti grazie all’impegno dell’intera comunità scolastica, che si è mossa all’unisono secondo le indicazioni date.

In che modo?
Abbiamo mantenuto la relazione tra le famiglie e la scuola e il contatto con gli studenti. Grazie al nostro impegno abbiamo ottenuto molta considerazione dalle famiglie, che ci hanno ringraziato, ma sono io che ringrazio loro, perché hanno capito l’importanza della scuola e hanno contribuito con tanta energia ad agganciare i propri figli alla Didattica a distanza.

Come siete riusciti a coinvolgere le famiglie?
Abbiamo lavorato in continuità rispetto a quello che già facevamo dal 2015, anno in cui abbiamo attivato la “comunità di apprendimento”, che prevede che le mamme siano presenti in classe anche tre volte a settimana, dove fanno attività insieme ai loro figli grazie a un progetto svolto insieme all’Università di Barcellona, che ha dato risultati incredibili in termini di riduzione della dispersione scolastica e di inclusione sociale. Le mamme hanno partecipato attivamente perché già avevamo avviato un processo di fidelizzazione in tal senso.

In tutte le scuole difficilmente è stato completato il programma scolastico. Ci sarà bisogno di un’integrazione?
Oggettivamente non credo che alcuna scuola possa dire di non aver bisogno di integrazioni. Dobbiamo essere onesti e noi tali siamo stati. Seguendo le indicazioni del ministro, abbiamo rimodulato le programmazioni. Se i ragazzi devono essere promossi comunque, ma presentano un mancato raggiungimento dei traguardi di competenze, è onesto da parte della scuola organizzare questi recuperi, perché altrimenti si farebbe solo un danno agli studenti. In questo modo passeranno alla classe successiva, ma con la consapevolezza di poter recuperare per raggiungere il livello di competenze previsto o per consolidare quanto fatto, ma che non è stato appreso appieno.

Lei ritiene che combattere l’ignoranza aiuti a sconfiggere la criminalità. Come?
È difficile combattere questo fenomeno, combattere la dispersione scolastica, ma quando i bambini si sentono attratti da quello che fa la scuola, perché programma attività attraenti e attrattive che possono essere un’alternativa all’offerta altra che viene dall’esterno, hai già un vantaggio, perché i ragazzi vengono volentieri a scuola e, tutto sommato, a loro piace.

L’amarezza degli studenti
«Sono Ludovica, ho 15 anni compiuti in quarantena e frequento il primo anno di liceo. Il positivo della Didattica a distanza? Forse solo poter seguire le lezioni sdraiata sul letto col mio cane accanto a me. Tutto il resto è stato una terribile delusione. La Didattica a distanza non è mai partita veramente. La piattaforma non funziona, la connessione va e viene ma, ovviamente, la responsabilità è la nostra che non abbiamo voglia di fare niente. In compenso, ci caricano di compiti. Nessuno ci ha mai domandato se stessimo bene, se avessimo paura o se fossimo preoccupati. Insomma, un incubo che non vedo l’ora che finisca!».

Francesco va in prima media, indirizzo musicale. Segue le lezioni – anche quelle di batteria – dallo smartphone, leggendo lo spartito del professore dal piccolo schermo posto a un metro di distanza, alle 18 di sera. Alessandro va alla primaria e prima della pandemia faceva i compiti da solo. Da quando è a casa, non vuole più studiare.

Giusiana è in quarta superiore. «Con le videolezioni – spiega – è facile distrarsi» e alcuni prof non sono di aiuto, si preoccupano di finire il programma, anche se noi non abbiamo capito. Più sofferta la situazione dei maturandi. Per Leonardo «è brutto finire un percorso scolastico in questo modo. Anche le prime due prove, che potevano spaventare, hanno perso valore perché non si fanno. Il limite della Dad è che vengono interrotti i rapporti umani, è brutto salutare i professori senza guardarli negli occhi».

Anche Diletta è triste. «Mai avrei immaginato di fare le ultime lezioni attraverso un apparecchio elettronico senza i professori in cattedra, senza il mio vicino di banco, insomma senza niente che si avvicinasse minimamente all’idea di “scuola” o, meglio ancora, di “classe”. Ho apprezzato l’impegno dei professori, ma non ho avuto un riscontro molto positivo di questo nuovo metodo di insegnamento. È scomodo, freddo, svuotato dell’umanità che nel bene o nel male si vive con il contatto umano. Per non parlare poi di come si sta gestendo l’esame di maturità, con notizie che cambiano il giorno successivo, smontando i progetti fatti in precedenza. Nessuno ascolta nessuno, sembra che tutti siano impossessati dalla rabbia e dalla stanchezza e il risultato è solo caos e malumore generale».

Più di tre mesi di pandemia hanno provato i ragazzi, che hanno visto il loro mondo stravolto da un giorno all’altro. Eppure, spiega Joela, quarta superiore, «nel nostro piccolo siamo stati bravi a continuare le lezioni, non ci siamo fermati».

Contributo di Antonello Giannelli, Presidente dell’Anp, associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola

Le prospettive per il nuovo anno scolastico
Si discute già da tempo su come dovrà essere organizzato il prossimo anno scolastico. Tutto ruota attorno all’andamento epidemiologico nel Paese. Il ministero dell’Istruzione ha incaricato il Comitato tecnico scientifico di predisporre dei protocolli di sicurezza che le scuole dovranno adottare per garantire la loro apertura dal primo settembre. È ipotizzabile, se le condizioni generali dovessero progressivamente migliorare, che le attività didattiche possano ripartire con modalità di erogazione del servizio a geometria variabile.

Si valuta, infatti, la possibilità di prevedere l’alternanza di attività in presenza con quelle a distanza, modulandole in modo differente secondo l’età degli alunni. Dobbiamo immaginare un nuovo modo di intendere il tempo scuola e, persino, il concetto di classe. Per gli alunni del primo ciclo, dotati di minore autonomia, si prevedono più ore di didattica in presenza mentre per gli studenti delle scuole superiori, più tecnologici e autonomi nello studio, sarà più semplice alternare attività in presenza e a distanza. Ne consegue una differente organizzazione del personale docente che dovrà essere pensato per differenti, rispetto al passato, gruppi classe con un conseguente aumento del numero degli insegnanti. Inoltre, le istituzioni scolastiche dovranno prevedere attività di formazione sulle misure e i comportamenti da adottare per contrastare la diffusione del Covid-19, da destinare agli alunni e al personale scolastico. La scuola ha dimostrato la propria centralità nella società e ha anche attestato, con i dirigenti scolastici, i docenti e tutto il personale, una grandissima capacità di reagire, riorganizzarsi, ripartire. E questo è sicuramente un segnale importante.

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