Israele, vince ancora Bibi
Il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu è il vincitore delle elezioni che si sono svolte giovedì scorso in Israele. Il premier ha raggiunto con i suoi alleati dell’ultradestra i 65 seggi, 35 dei quali col suo partito, alla Knesset (il Parlamento israeliano), lo stesso numero del partito Blu e Bianco del suo sfidante, l’ex capo di Stato maggiore Benny Gantz, che, entrato solo tre mesi fa in politica, è riuscito nell’impresa di ridare fiato a chi non sostiene Netanyahu. Ma il gioco delle alleanze (65 seggi per Bibi e 55 per Benny) non gli ha permesso di giungere al potere. Grave la sconfitta degli arabi israeliani e dei laburisti.
La delusione nel campo dell’opposizione è palpabile. La speranza di scalzare Netanyahu è stata suffragata dai sondaggi durante parte della campagna elettorale, per poi cedere dinanzi alla macchina elettorale del premier. Indubbiamente Bibi è un “animale politico” di razza e ha saputo anche stavolta tornare a galla, nonostante le accuse di corruzione che pesano sul suo capo. È riuscito ad anticipare il voto per evitare che si svolgesse in pieno processo. Ha saputo inoltre approfittare dell’amicizia di Donando Trump che gli ha “regalato” il Golan. E senza dubbio ha avuto dalla sua l’appoggio di quelle forze più o meno trasparenti che operano sul web sfruttando i profili degli elettori. Senza dimenticare la politica dell’immigrazione seguita dal governo, che praticamente consente ormai di far diventare elettori in prevalenza persone vicine alla sensibilità degli attuali governanti. Insomma, la corazzata Netanyahu vince per la quinta volta.
Prospettive immobili. La pace coi palestinesi è ancora lontana. Lontanissima. L’umiliazione del popolo palestinese continuerà. Gaza sarà sempre una prigione a cielo aperto. Lo stato di guerra perenne contro Iran ed Hezbollah non cesserà. Così come continuerà l‘alleanza con statunitensi e sauditi, in funzione anti-iraniana. Mentre i rapporti con Mosca continueranno a rimanere sottotraccia, consentendo ad esempio agli israeliani di solcare i cieli siriani nella guerra nascosta contro Teheran ed Hezbollah. E continueranno ad arrivare a Tel Aviv-Gerusalemme quegli aiuti spontanei della diaspora ebraica – aiuti che diminuirebbero radicalmente solo in caso di pace – che sono indispensabili per la sopravvivenza di Israele.
La speranza sta paradossalmente nella mancanza di speranza. Il blocco del conflitto israelo-palestinese è un macigno che occupa coi suoi incubi le notti di troppa gente. Di ogni orizzonte. È solo dalla spinta del popolo che può venire la pace.