Israele torna al voto

Il prossimo 17 settembre si svolgeranno in Israele le elezioni politiche per il rinnovo della Knesset, il parlamento monocamerale composto di 120 deputati. Per la prima volta Netanyahu non parte favoritissimo
EPA/ABIR SULTAN / POOL

È la seconda volta quest’anno che si ricorre in Israele ad elezioni anticipate, e non era mai accaduto, perché il quadro parlamentare uscito dalle urne il 9 aprile scorso – la Knesset, il parlamento monocamerale israeliano è composto di 120 deputati – non ha consentito al leader del partito di maggioranza relativa Likud, il settantenne Benjamin Netanyahu, di formare una coalizione per governare il Paese. Anzi, per la prima volta dopo 13 anni di premierato, Netanyahu è in evidente difficoltà. I problemi principali che stanno dietro all’impasse sono principalmente due, uno politico e uno giudiziario: l’avanzata di un nuovo soggetto politico che insidia il primato del Likud e i tre processi per corruzione che incombono su Netanyahu. Ma c’è dietro, probabilmente, anche una spinta dell’elettorato verso una visione più laica della politica, meno condizionata dalle minoranze ortodosse e ultraortodosse che hanno finora consentito a Netanyahu di guidare l’esecutivo di governo, evidentemente non senza concessioni che negli anni hanno spostato sempre più a destra l’asse politico del Paese.

Qual è, a grandi linee, la situazione politica attuale e quali i temi più dibattuti? La nuova coalizione che ha fatto irruzione sulla scena politica all’inizio di quest’anno è guidata da Binyamin Gantz e si chiama Kahol Lavàn (Blu e bianco). È formata da tre partiti: uno di centro-destra, Télem, e due di orientamento centrista, Hosen L’Israel e Yesh Atid. Alle consultazioni del 9 aprile, Kahol Lavàn, al suo esordio, ha ottenuto oltre il 26% dei voti e 35 parlamentari, alla pari del Likud sia come percentuale che come seggi. A questi risultati va però aggiunto un accordo di condivisione dei voti in eccedenza (consentito dalla legge elettorale israeliana) che il partito di Avigdor Lieberman, Yisrael Beitenu (4% dei voti e 5 seggi) ha sottoscritto con la nuova coalizione guidata da Benny Gantz.

Yisrael Beitenu aveva sostenuto il Likud nella precedente legislatura, tanto che Lieberman è stato ministro degli Esteri del governo Netanyahu fino al 2015 e l’anno scorso si è dimesso quando era ministro della Difesa, facendo cadere il governo.

Oltre ad essere un convinto nazionalista, Lieberman è soprattutto un laico contrario all’alleanza del Likud con gli Haredim ultraortodossi e all’esenzione dalla leva militare che Netanyahu ha sempre concesso loro, probabilmente in cambio dell’appoggio politico. Il gruppo rappresenta meno del 10% degli ebrei israeliani, e per di più si disinteressa dello Stato, evita contatti con altri ebrei e rifiuta perfino la televisione.

Gli Haredim ritengono importante solo lo studio della Torah, e oltre ad essere esentati dal servizio militare, sono spesso un onere per lo Stato. Ma sono molto prolifici. Diversamente dalla scarsa natalità degli altri ebrei, simile a quella europea, un recente studio ha evidenziato che la crescita demografica degli Haredim potrebbe significare che in tre decenni potrebbero forse rappresentare un terzo della popolazione ebraica di Israele. In uno Stato dove l’esercito è ritenuto fondamentale per la sopravvivenza del Paese, l’esenzione degli Haredim dal servizio di leva (3 anni per i ragazzi e 18 mesi per le ragazze) e la loro indifferenza allo Stato rappresenterà presto un grosso problema. Al quale il laico Lieberman, diversamente da Netanyahu, vuole porre rimedio rendendo il servizio militare rigorosamente obbligatorio per tutti.

In vista delle elezioni di settembre, l’ultimo colpo di scena, di questi giorni, è stata una dichiarazione di disponibilità alla cooperazione con Kahol Lavàn del presidente della Lista Araba Unita, Ayman Odeh. Si tratta della riaggregazione delle quattro formazioni arabo-israeliane di Hadash, Ta’al, Ra’am e Balad, che contano complessivamente 10 parlamentari alla Knesset. Ma la ritrovata unità dei gruppi arabo-israeliani potrebbe forse riportare la Lista Araba Unita ai 15 deputati che avevano ottenuto nel 2015.

I partiti arabi possono teoricamente contare sul 20% della popolazione del Paese, per quanto negli ultimi anni molti arabo-israeliani siano stati particolarmente delusi dalla politica, e se ne siano allontanati, a causa delle pesanti discriminazioni favorite dai governi della destra conservatrice guidata da Netanyahu.

L’altro punto debole per un eventuale nuovo governo Netanyahu è in relazione ai tre processi giudiziari per corruzione che stanno per cadere addosso al premier del Likud. La prima accusa è quella di aver favorito unilateralmente, anche con regolamenti costruiti ad hoc, la compagnia di telecomunicazioni Bezeq, in cambio di una comunicazione favorevole nei siti e nei media facenti capo alla compagnia. Un altro capo di imputazione riguarda la linea editoriale favorevole al governo e al premier del quotidiano Yedioth Ahronoth, ottenuta in cambio di azioni di sabotaggio verso il giornale concorrente Israel Hayom.

Il terzo caso riguarda direttamente la persona di Netanyahu, che avrebbe concesso favori politici a ricchi uomini d’affari ricevendone in cambio regali per 280 mila dollari. Netanyahu si difende invocando un complotto dell’opposizione, ma la differenza, questa volta, è che l’opposizione sembra determinata e credibile.

 

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