Israele, sono ripresi gli scontri con i palestinesi

L’escalation di scontri fra dimostranti palestinesi e forze dell’ordine israeliane è ripartita. Ci sono stati anche attentati e reazioni, feriti e morti. È sempre più difficile comprendere le dinamiche e le “visioni” che stanno dietro e dentro a questa infinita lotta che dura da oltre 70 anni, pur con tutte le evoluzioni che ci sono state.
Forze di sicurezza israeliane vicino alla Porta di Damasco, appena fuori dalla Città Vecchia di Gerusalemme, foto Ap.

Uno degli ultimi episodi dell’infinita serie di scontri fra israeliani e palestinesi è un razzo lanciato dal sud del Libano ed esploso in un’area deserta del nord di Israele. E la relativa risposta dell’artiglieria isreliana che ha sparato oltre il confine in un’area aperta dalla quale era stato lanciato il razzo.

La tensione e gli scontri erano cresciuti dalla metà di marzo con una serie di attentati che hanno provocato 36 morti. Poi a metà aprile ci sono stati gli scontri tra polizia isreliana e manifestanti palestinesi sulla spianata delle moschee a Gerusalemme, con lancio di pietre e molotov, e relativa reazione: il bilancio è stato di almeno 170 feriti, come si può intuire si tratta soprattutto di palestinesi. L’escalation è proseguita con alcuni razzi da Gaza verso Israele con relativa risposta di artiglieria e un successivo raid aereo nel sud della Striscia di Gaza: “i caccia dell’esercito israeliano hanno colpito le fabbriche di armi dell’organizzazione terroristica Hamas”, ha dichiarato un portavoce dell’esercito israeliano. La guerra di Gaza di maggio 2021 sembra di nuovo alle porte.

E questo nonostante il governo israeliano avesse vietato a Itamar Ben-Gvir, un politico ebreo di estrema destra, di partecipare ad un corteo (Marcia della bandiera) di ultranazionalisti, che hanno provocatoriamente sfilato nelle stradine della Città vecchia di Gerusalemme sventolando bandiere con la stella di Davide.

Il quotidiano israeliano indipendente Haaretz, di orientamento vicino al centro-sinistra, ha commentato con un editoriale: “il problema è che alcune persone in Israele vogliono una seconda operazione Guardian of the Walls” [Guardiano delle mura, l’operazione contro Gaza del 2021]. Haaretz definisce la Marcia della bandiera promossa dagli ultranazionalisti: “una manifestazione aggressiva di suprematismo ebraico il cui scopo è incitare, provocare litigi e conflitti e mettere a fuoco Gerusalemme, Israele e se possibile l’intero Medio Oriente”. Dall’altra parte, il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, non è da meno e non ha perso l’occasione per attaccare Israele profetizzando che “ciò che i coloni stanno facendo ad al-Aqsa porterà a un confronto diretto”. Che evidentemente auspica.

Naftali Bennet (AP Photo/Ariel Schalit)

Chi conosce le dinamiche dei meta-linguaggi specifici ha però l’impressione che dietro a questo rinnovarsi di contrapposizioni, scontri e diatribe (con tutto il corteo di odio e morte che purtroppo li accompagna) ci sia comunque dell’altro, come sempre. Per esempio, la guerra di Gaza del 2021 sarebbe stata utile ad Hamas per prendere le distanze dall’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) controllata da Fatah. E, sempre per esempio, questi ultimi scontri potrebbero essere di una qualche utilità per l’organizzazione filoiraniana del Jihad Islamico Palestinese, ma anche, e paradossalmente, anche per l’ultradestra israeliana, quella che fa capo a Netanyahu, che sta tentando, a quanto pare, di riprendersi dallo smacco subito lo scorso anno (dopo 12 anni di leadership, per quanto tribolata), che aveva portato alla formazione dell’attuale governo ibrido (di destra, centro, sinistra e per la prima volta con la partecipazione di un partito arabo) guidato da Naftali Bennett, che ai primi di aprile ha perso la maggioranza (per un solo voto) che aveva alla Knesset, il Parlamento israeliano.

Nel quadro di incertezza che si è creato, inoltre, il partito arabo Ra’am ha sospeso la sua partecipazione alla coalizione di maggioranza (o ex maggioranza). In realtà, di quadri di incertezza nei governi israeliani degli ultimi forse 10 anni se ne sono visti spesso, praticamente ogni anno, anche più volte all’anno.

È una situazione che risulta incomprensibile a chi non è addentro alle dinamiche mediorientali, e fa sorgere una domanda: come è possibile che tutto questo (e molto altro) vada avanti da più di 70 anni senza che non si riesca a vedere una via d’uscita? O peggio, che ci sia sempre chi non la vuole vedere?

In realtà, non è per niente facile districarsi nel labirinto di “visioni” che c’è dentro, dietro e contro la presenza dello stato israeliano figlio del sionismo (o dei sionismi). Personalmente, ho l’impressione che non lo sia per nessuno, ebrei e musulmani (e cristiani) compresi. Mi piace far mia una considerazione che un ebreo italiano fuori dagli schemi come Giuliano Della Pergola (autore del recente, scomodo e intenso volume: Coscienza ebraica e modernità), scriveva nel 2003 a proposito di Israele: “Non si può mai vincere… senza che poi il vinto non tenti disperatamente di reagire. Io credo che in politica, sempre occorra poter riconoscere all’avversario una sua dignità di uomo”.

 

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