Israele Palestina, fermare la violenza
Anche gli analisti e osservatori più esperti confessano di non riuscire a prevedere gli effetti devastanti dello scontro bellico in corso tra esercito israeliano e Hamas dopo l’attacco indiscriminato realizzato sabato 7 ottobre dall’organizzazione politica e paramilitare palestinese islamista. I numeri delle vittime continuano a crescere e non è ancora iniziato l’intervento da terra su Gaza annunciato dal primo ministro Benyamin Netanyahu.
«Temo che si arriverà alla guerra», ha detto all’Agensir il patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, che si trova a Roma per i lavori del Sinodo.
Davanti ad uno scenario tragico che colpisce, in una maniera che appare inevitabile, la Terrasanta, non restano indifferenti le tante realtà sociali italiane che hanno mantenuto, anche nei momenti più difficili, stretti rapporti con associazioni e persone delle comunità ebraiche e palestinesi impegnate per il dialogo e la costruzione della pace.
Risale al 2020, nel pieno della pandemia da Covid, l’avvio di un’iniziativa lanciata da Assisi a favore di una pace giusta tra Israele e Palestina con il coinvolgimento diretto anche delle organizzazioni sindacali presenti in Terrasanta. Un lavoro di paziente di tessitura di relazioni al fine di mantenere uno spiraglio di speranza dentro un contesto geopolitico sempre più difficile e che ora appare senza una via di uscita.
Arriva, perciò,dal mondo associativo italiano, composto da diverse realtà in fase di progressiva adesione all’appello, l’impegno ad un azione efficace per fermare una deriva rovinosa verso una guerra dagli esiti imprevedibili.
Il documento parte da una «condanna dell’ignobile e brutale atto di aggressione di Hamas contro la popolazione civile Israeliana, contro anziani, bambini, donne, in spregio di ogni elementare senso di umanità e di civiltà, alla quale si è aggiunta la barbara pratica della presa di ostaggi. Siamo di fronte alla violazione di tutti i trattati e le convenzioni internazionali, volti a salvaguardare le popolazioni civili dalle guerre e da ogni forma di occupazione».
A scanso di ogni equivoco si afferma che «non vi è giustificazione alcuna per l’operato di Hamas, neppure la disperazione e l’esasperazione del popolo palestinese, vittima da decenni dell’occupazione, della restrizione delle libertà, della demolizione delle case, dell’espropriazione dei terreni e delle continue provocazioni delle frange radicali della destra israeliana e dei coloni, può trovare una risposta nell’azione terroristica e militare».
La premessa per qualsiasi proposta parte perciò dalla affermazione che la «condanna contro ogni forma di violenza, di aggressione e di rappresaglia contro la popolazione civile, sia palestinese, sia israeliana, è assoluta».
Cosa si chiedono in concreto le associazioni italiane?
«Hamas deve immediatamente rilasciare gli ostaggi e cessare le ostilità per il bene del popolo palestinese». Allo stesso tempo si afferma che «Israele non deve reagire con la sua potenza militare contro la popolazione della Striscia di Gaza o usare metodi di rappresaglia come togliere cibo, luce, acqua ad una popolazione anch’essa ostaggio della violenza scatenata da Hamas, senza vie di fuga ed impossibilitata a proteggere le famiglie, i bambini e gli anziani».
Assistiamo ormai a continue svolte epocali contrassegnata da date precise.
Così «il 7 ottobre segna una radicale svolta militare, di guerra, che porterà nuove vittime e nuovo odio senza risolvere le cause che, da quasi un secolo, travolgono la popolazione e la terra di Palestina e d’Israele. È evidente per di più il rischio imponderabile del conflitto che potrebbe travolgere il Medio Oriente».
Da dove ripartire?
Il percorso proposto parte da una consapevolezza che sembra svanita dall’orizzonte politico generale: «Solo con il rifiuto della guerra e della violenza possiamo tutti impegnarci per costruire giustizia, rispetto per i diritti di autodeterminazione delle due popolazioni, riparazione, convivenza, pace giusta e duratura».
L’appello urgente è rivolto «al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché assuma la propria responsabilità di organo garante del diritto internazionale chiedendo alle parti l’immediato cessate il fuoco, il rilascio degli ostaggi e dei prigionieri, il rispetto del diritto umanitario per evitare ulteriore spargimento di sangue».
Entrando nel dettaglio si richiede un preciso «impegno di convocare, con urgenza, una Conferenza di pace che risolva, finalmente, la questione Palestinese applicando la formula dei “due Stati per i due Popoli”, condizione che porrebbe fine all’occupazione Israeliana ed alla resistenza armata Palestinese, ristabilendo così le condizioni per la costruzione di società pacifiche e democratiche».
Le componenti della società civile italiana ed internazionale si dichiarano pronte a fare la propria parte «per sostenere il cammino della pace», a cominciare dall’invitare «le realtà sociali palestinesi ed israeliane a schierarsi chiaramente per la fine della violenza, per il rispetto reciproco e per il reciproco diritto di vivere in pace e liberamente nel proprio stato».
Mentre è in corso la mobilitazione delle armi, l’appello lanciato alle associazioni e movimenti palestinesi ed israeliani» è quello di «manifestare insieme, in Terra Santa, sfidando chi invece vuole distruggere con la violenza, con l’aggressione, con l’occupazione e l’assedio, il diritto dell’altro, la possibilità della convivenza e di un futuro di pace e di benessere per tutto il Medio Oriente».
L’appello “Riprendiamo per mano la pace” è sostenuto finora da Rete Italiana Pace e Disarmo, Acli, Anpi Arci, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Cisp, Cgil, Fondazione Lelio e Lisli Basso, Fondazione Giorgio La Pira e Centro Internazionale Studenti, Gruppo Abele, Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, Legambiente, Libera, Movimento Nonviolento, Pax Christi, Pro Civitate Christiana, Tavola della Pace