Israele-Libano: accordo sul gas
L’accordo più che storico è incredibile, ma di questi tempi nel nome del gas è possibile molto, quasi moltissimo. L’accordo è quello tra Israele e Libano. Beninteso si tratta di un accordo, non della pace. Quella è di là da venire, per ora facciamoci bastare questo accordo, nella speranza che si realizzi davvero. Ma andiamo con ordine: dopo mesi di trattative, e quando sembrava ormai impossibile, Libano e Israele hanno entrambi accettato un accordo per la demarcazione della frontiera marittima, un accordo mediato dal super-negoziatore israelo-statunitense Amos Hochstein, che ha fatto la spola tra Beirut e Tel Aviv.
Di per sè sarebbe un accordo su dove passa, in mare, la linea di confine. Insomma all’interno di 860 Kmq di Mediterraneo contesi, pare che si sia potuto capire quali saranno i Kmq libanesi e quali quelli israeliani. Evidentemente la cosa non consiste in una disquisizione geografica, ma è in vista di una spartizione, ambita da entrambi le parti, dei giacimenti di gas naturale individuati al largo delle rispettive coste. E che fanno gola a Libano e Israele, ma che non lasciano certo indifferente l’Europa, affamata di risorse energetiche soprattutto se vicine, e neppure gli Usa, da tempo alla ricerca di equilibri (o equilibrismi) in Medio Oriente.
«La presidenza libanese ritiene che la formula finale abbia preservato i diritti del Libano sulle sue ricchezze naturali, in un momento importante per la popolazione», commenta Beirut in un comunicato ufficiale. E il premier israeliano Lapid scrive in un tweet: «Il progetto di accordo è pienamente conforme ai principi presentati da Israele in materia di sicurezza ed economia. Questo è un risultato storico che rafforzerà la sicurezza di Israele, porterà miliardi all’economia israeliana e garantirà stabilità al confine settentrionale».
L’accordo, qualora si facesse, sono in realtà due: uno di Israele con gli Usa e uno degli Usa con il Libano. Non è certo possibile fare accordi diretti fra due Paesi fra loro in guerra (guerreggiata e non) da oltre 70 anni.
Il quotidiano panarabo londinese Al-Arabi al-Jadid, di proprietà qatariota, dedica spazio all’accordo e sintetizza la questione con queste parole: «Tutto… porta a concludere che l’accordo di demarcazione è il risultato delle difficili condizioni interne libanesi, della decisiva volontà internazionale e degli interessi economici israeliani». In definitive «il vincitore è, fondamentalmente, l’interesse economico», sia per gli israeliani che per i libanesi, eterni nemici.
L’accordo (siglato il 20 ottobre), in sostanza dovrebbe riconoscere a Israele la piena competenza sul giacimento Karish, quello più meridionale, e il diritto esclusivo del Libano di estrarre gas dall’altro sito, quello più a nord denominato Qana, sebbene il giacimento si estenda anche nell’area di competenza israeliana. Per questo il Libano si impegna a riconoscere ad Israele una quota delle sue estrazioni.
Mentre gli israeliani stanno già inviando sul posto un’unità galleggiante di Energean (la società proprietaria del giacimento Karish), i libanesi non sono certo in grado di finanziare e rendere operativo il loro sito (Qana), per cui hanno provveduto a darlo in gestione ai francesi di TotalEnergies, che sono ben felici di metterci sopra le mani.
Fin qui sembrerebbe che tutto stia procedendo al meglio. Non è difficile però intuire che non sono solo rose e fiori. I nodi che molto presto verranno al pettine (e che potrebbero mandare tutto all’aria) non sono affatto trascurabili.
In Libano, fra pochi giorni (fine ottobre) giunge a termine il mandato del presidente Aoun: chi gli succederà e quando? La volta scorsa ci vollero 2 anni per trovare il nome del candidato. E chi gli succederà approverà l’accordo con l’arcinemico israeliano? Sempre in Libano, che posizione potrebbe assumere in futuro il potente partito filo-iraniano Hezbollah, che per ora non si oppone?
In Israele, negli stessi giorni di fine mandato per Aoun, ci saranno le ennesime elezioni parlamentari (1 novembre). Nel caso di un ritorno al potere di Netanyahu, cosa non solo possibile ma quasi probabile, che ne sarà dell’accordo sul gas siglato a quel punto da un ex governo israeliano con un ex presidente libanese?
Netanyahu sembra infatti intenzionato a mandare tutto all’aria. Di fronte alla notizia dell’accordo sul confine marittimo e ad un invito dell’ancora Primo ministro Lapid a parlarne, si è negato sdegnosamente affermando che non si tratta di un accordo storico ma di “una resa storica” al Partito di Dio, Hezbollah.
Facendo proprio e rilanciando un messaggio del suo partito, il Likud, Netanyahu ha commentato: «Da una parte Lapid rifiuta di portare all’approvazione della Knesset [il Parlamento] il suo accordo di resa a Nasrallah [leader degli Hezbollah libanesi] con la scusa che non piace all’opposizione e, dall’altra, invita la stessa opposizione ad un futile incontro a cose già fatte».
Che la pensi veramente così, in realtà è secondario per le logiche “elettorali” che non conoscono frontiere: una disponibilità agli avversari politici è inaccettabile a meno di 2 settimane dal voto, potrebbero alienargli l’appoggio degli ultraortodossi sui quali conta per tornare sul podio di Primo ministro.
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