Israele e Hamas, preoccupanti segnali di guerra
Notte di guerra a Gaza, Tel Aviv e Gerusalemme. Lo scontro tra israeliani e palestinesi di Hamas è sfociato in attacchi di inattesa forza bellica. I raid israeliani su Gaza sono stati 160, gettando nel terrore i quasi due milioni di abitanti della città e uccidendo 40 persone e ferendone 150. Tel Aviv e Gerusalemme sono state oggetto di ripetuti lanci di missili dalla Striscia di Gaza, che il sistema di difesa Iron Dome ha intercettato e abbattuto, evitando così vittime, anche se è stata colpita un’abitazione nei sobborghi della Città Santa.
La situazione rischia di precipitare, dopo il rapimento e l’uccisione di tre giovani israeliani e la vendetta consumata nei confronti di un 16enne palestinese, bruciato vivo in un bosco a Gerusalemme. Le accuse reciproche tra i leader politici dei due schieramenti hanno acceso gli animi degli estremisti a tal punto che le azioni militari di questa notte rischiano di costituire la premessa di uno scontro più vasto che finisca per scivolare nel baratro di una vera e propria guerra.
Il governo Netanyahu ha richiamato 40 mila riservisti con lo scopo di sostituire i soldati impegnati in Cisgiordania che saranno rapidamente spostati sul fronte sud. Dall’altra parte, cinque uomini rana di Hamas hanno attaccato dal mare il kibbutz di Zikim, ma sono stati scoperti e uccisi da uomini dell’esercito israeliano. Gran brutti segnali.
In queste ore anche gli osservatori internazionali stanno manifestando viva preoccupazione, affermando, in buona sostanza, che «mai negli ultimi decenni la guerra era stata così vicina». Non nel 1991, quando Saddam Hussein lanciò i missili Scud; non nella seconda intifada, caratterizzata da numerosi attentati suicidi da parte dei palestinesi; e nemmeno due anni fa, quando Israele era intenzionata ad attaccare la Striscia di Gaza.
Il pericolo è che la situazione, alimentata da diffusi sentimenti di odio e da una logica vendicativa, possa sfuggire di mano agli stessi Netanyahu e Abbas, mai così politicamente deboli come in questo momento e probabilmente impotenti nel fermare l’eventuale moltiplicarsi di iniziative militari. Il premier israeliano è condizionato dall’estrema destra e influenzato dalle sue stesse immediate accuse contro Hamas, mentre il presidente palestinese costata i limiti di un governo di unità nazionale con gli avversari storici di Hamas.
Qualche spiraglio di ragionevolezza può essere intravisto nella richiesta di tregua da parte dei palestinesi più radicali, ma le condizioni poste per una possibile tregua non sono state accolte dal governo di Gerusalemme. L’unico segnale certo in controtendenza è, per il momento, il dialogo tra i familiari di uno dei tre ragazzi israeliani uccisi e quelli del giovane palestinese bruciato. Un gesto nobile e disinteressato, tutt’altro che politico, che potrebbe riportare alla ragione la politica e disinnescare l’estremismo dei fondamentalisti.