Isis. «Omicidio puro»
Da quando Mosul è caduta nelle mani dell’Isis, questo acronimo (Islamic State of Iraq and Syria) si è stampato nel nostro immaginario con le scene di brutale violenza abilmente postate sui social media dai terroristi. Di fronte alle forze del Daesh (acronimo arabo per al-dawla al-islâmiyya fi I-‘Irâq wa I-shâm – Stato Islamico di Iraq e Siria) e alle immagini degli esodi biblici (di yazidi e cristiani) provocatedalla costituzione del nuovo Califfato, si è scatenata e perdura un’ondata di paura quasi paranoia collettiva.
I fatti sono noti. Innanzitutto, c’è stata l’avanzata del Daesh di fronte alla quale le truppe dell’esercito regolare iracheno si sono sciolte come neve al sole, con fuga da parte degli ufficiali e abbandono di armi e uniformi da parte di migliaia di soldati.
Venti giorni più tardi, Abu Bakr al-Baghdadi – presentatosi come il legittimo successore del Profeta con la scelta di un nome che pretende la sua discendenza diretta dalla famiglia di Muhammad, con il segno visibile del turbante nero indossato dai sayyid – si è rivolto alla Ummah (la comunità dei fedeli musulmani) ricordando che «il mondo oggi è diviso in due campi, quello dell’Islam e della fede da una parte, e quello dei kufr (infedeltà) e dell’ipocrisia, dall’altra».
Al-Baghadi ha invitato i «musulmani, dovunque si trovino, ad alzare finalmente la testa perché ormai hanno uno Stato, un Califfato», che vuole restituire loro dignità, potere e diritti. Sono poi cominciate le immagini raccapriccianti della decapitazione degli ostaggi occidentali. In contemporanea all’esodo di cristiani e yazidi, il portavoce dell’Isis, Abu Muhammad al-‘Adnani ha detto: «Con la costituzione del Califfato tutti i non-musulmani dovranno giurare fedeltà al califfo Ibrahim».
La costituzione del Califfato è, senza dubbio, una novità inattesa e segna una svolta pericolosa e dalle conseguenze imprevedibili nel fenomeno del jihadismo. Tuttavia, è bene riconoscere che il fenomeno Isis-Daesh resta ancora difficile da decifrare e, comunque, sarebbe pericoloso, e soprattutto ingiusto identificarlo con l’Islam, come invece spesso trapela dalla comunicazione di notizie e di immagini. Un elemento che sfugge, perché abilmente taciuto dai media, è che, accanto alle crudeltà perpetrate nei confronti si cristiani e yazidi, si registrano anche atti di violenza nei confronti di luoghi di culto musulmani e di fedeli dell’Islam. Probabilmente, centinaia di musulmani sono stati trucidati o perché sciiti o perché membri di altre minoranze islamiche o perché non pronti a sottomettersi al nuovo califfo. Per questo, è opportuno dar voce alle molteplici sensibilità musulmane per avere un quadro più equilibrato della situazione. In effetti, le modalità d’azione dell’Isis sono state condannate da una lunga lista di autorità dell’universo Islam di tutto il mondo, sia sunnite che sciite. Fra queste le voci di leader come Yusuf al-Qaradawi e di al-Azhar, l’università islamica del Cairo, che resta il punto di riferimento per il mondo sunnita. In questo senso hanno parlato anche gruppi e confederazioni islamiche, come l’Ucoii (Unione delle comunità islamiche in Italia) e la Coreis (Comunità religiosa islamica) in Italia.
L’imam delle comunità islamica del Veneto, Kamel Layachi, ha chiaramente affermato: «Io da imam e da musulmano mi dissocio da quegli atti ed esprimo la mia massima solidarietà e vicinanza alle comunità cristiane dell’Iraq. Lo stesso metro di misura che abbiamo usato per denunciare la violenza israeliana contro il popolo palestinese a Gaza lo adoperiamo oggi per condannare, con la stessa convinzione e chiarezza, i crimini di questo gruppo estremista e violento. La comunità internazionale, i Paesi del mondo islamico e della Lega araba devono agire in fretta per fermare questi criminali senza scrupoli e senza una briciola di umanità».
Alcuni Paesi musulmani, dopo aver dichiarato Isis-Daesh fuori legge sul proprio territorio, da tempo cercano di impedire che i propri cittadini si uniscano al gruppo. Fra questi c’è l’Indonesia, la nazione con la popolazione musulmana più numerosa al mondo, capace nei quasi 70 anni di indipendenza di non imporre la shari’a come carta costituzionale.
Efficace poi quanto ha dichiarato alla rivista Oasis il leader sciita libanese, Ibrahim Shamseddine, personalità apprezzata in patria e all’estero, già ministro della Repubblica dei cedri: «Il jihad è una nozione islamica degna di considerazione, ma quasi tutti ne hanno abusato. Uccidere non è jihadismo. Uccidere musulmani, cristiani, persone di altre religioni, non è jihad, è contro l’Islam. È omicidio puro, una carneficina umana. La fede e l’Islam non si fondano sul coltello».
La prospettiva è condivisa anche da un noto politologo francese, il professore Jean-Pierre Filiu, che, sempre sulla rivista Oasis, accanto al grande timore che suscita la novità del Daesh, sottolinea come «quello che sta succedendo in Iraq non ha niente a che vedere con l’Islam, si tratta di un’altra religione. Le persone entrano a far parte dei ranghi di Daesh come se si convertissero a una religione, sia perché non ne avevano una propria in precedenza, sia perché, provenendo da una famiglia musulmana, abbandonano l’Islam dei loro genitori, famiglie, culture per volgersi a un presunto “vero Islam” che in realtà è una nuova religione. Daesh attrae una frangia che è già radicale. Non ci si radicalizza per mezzo di Daesh, lo si è già in partenza. L’Islam è l’Islam. Daesh è un’altra cosa».
«Il principio su cui si fonda tutto l’insegnamento islamico è l’unicità di Dio “al tawhid” – ha scritto ancora l’imam Layachi –. Sulla conoscenza profonda di questo principio si basa tutta la vita del musulmano il quale si rende conto che il pluralismo e la diversità sono la volontà dell’Unico Dio che ha creato e amato tutti gli esseri e ci chiede di amare tutti come Lui ha amato. “A ognuno di voi abbiamo assegnato una via e un percorso. Se Allah avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Vi ha voluto però provare con quel che vi ha dato. Gareggiate in opere buone: tutti ritornerete ad Allah ed Egli vi informerà a proposito delle cose sulle quali siete discordi”, è scritto nel Corano alla quinta Sura».