Isabella, poetessa infelice
Salita all’attenzione internazionale prima con l’inserimento dei Sassi tra i siti Unesco nel 1993, poi con la stessa Matera capitale europea della cultura 2019, la Basilicata è protagonista nel 27° volume della collana “Ritrovare l’Italia” edita dal Mulino: Andare per Matera e la Basilicata. A illustrare alcuni centri significativi per storia e cultura di questa piccola regione poco esplorata, anche letterariamente, è la giornalista materana Eliana Di Caro. Sono guide d’eccezione lungo il percorso Carlo Levi, l’autore di Cristo si è fermato a Eboli, visceralmente legato ad Aliano, Pier Paolo Pasolini, innamorato degli antichi rioni materani che fornirono lo scenario per il suo Vangelo secondo Matteo, Rocco Scotellaro, il giovane sindaco di Tricarico cantore della libertà contadina, Giovanni Pascoli, che insegnò per due anni al liceo classico della città dei Sassi, Albino Pierro, poeta dialettale che tanto lustro ha dato alla sua Tursi, Leonardo Sinisgalli, il poeta-matematico-ingegnere-critico d’arte vissuto a Milano ma mai dimentico della natia Montemurro, e infine Orazio e la sua Venosa.
Apposta non ho citato nell’elenco Isabella Morra per dedicare l’attuale itinerario a questo personaggio vissuto nel XVI secolo, la cui vicenda sarebbe ideale per essere celebrata dai cantastorie. Valsinni, il paese dov’era nata dai baroni di Morra, terza di otto figli, all’epoca si chiamava Favale ed era feudo di questi nobili originari dell’Irpinia. «Vi si arriva – scrive la Di Caro – percorrendo la Sinnica, comoda e anche piacevole, perché costeggia il corso dell’acqua e consente un’immersione piena in un ambiente lucano, placido e senza tempo. Anche qui si incontrano pareti di pietra e paesaggi brulli, ma, giunti nel paese e inoltratisi verso il borgo medievale, si è accolti da un manto verde fittissimo: il bosco che circonda la rocca è proprio come quello delle fiabe. Nel borgo, che costituisce il centro storico, si può girare solo a piedi e se ne capisce presto il perché, gironzolando nel dedalo di stradine e scalette strette, ripide e pietrose. Nel punto più alto sorge il castello, maestoso, dominante. Teatro di una storia tragica – protagonista una poetessa brava e sfortunata -, motivo per cui il posto è visitato e vi è nato un parco letterario, provoca una sensazione di straniamento: ma siamo davvero nel XXI secolo?».
Torniamo al XVI, e precisamente agli anni dello scontro tra spagnoli e francesi per il controllo del Regno di Napoli. Il padre di Isabella, partigiano dei secondi, risultati però perdenti, si rifugia a Parigi (in seguito, anche dopo aver ottenuto il perdono, rimarrà Oltralpe, seguito da uno dei figli), mentre la Spagna consolida il suo dominio nel Sud Italia, punisce i traditori ed esige il pagamento di tasse e tributi. Nell’antico castello risalente all’anno Mille, con la giovane Morra sono rimasti la madre Antonia Caracciolo, l’altra sorella e altri quattro fratelli. Isabella, fortemente inclinata agli studi umanistici ma condannata all’isolamento in quel lembo di terra dove domina l’arretratezza e dove il Rinascimento è una parola vuota, si sfoga componendo rime come queste, in cui lamenta l’assenza del padre: «D’un alto monte onde si scorge il mare/miro sovente io, tua figlia Isabella,/s’alcuno legno spalmato in quello appare,/ che di te, padre, a me doni novella./Ma la mia adversa e dispietata stella/ non vuol ch’alcun conforto possa entrare/nel tristo cor […]». In altre, piange la sua gioventù senza speranza di nozze: «Quella che è detta la fiorita etade,/secca ed oscura, solitaria ed erma/ tutta ho passata qui cieca ed inferma,/senza saper mai pregio di beltade». In altre composizioni, invece, in cui si rivolge direttamente a Cristo, sembra prevalere una sorta di mistica rassegnazione e un bisogno di rifugiarsi nelle realtà eterne.
A lenire in parte il senso di disperazione che l’attanaglia (meglio morire piuttosto?), è l’amicizia con Diego Sandoval de Castro, cavaliere delle truppe dell’imperatore Carlo V, signore di Cosenza e lui stesso poeta. Non abbiamo elementi per accertare se tra lei e il gentiluomo, sposato e padre di tre figli, sia scoccata la scintilla amorosa. Fatto sta che la povera Isabella muore a 26 anni, ammazzata da tre dei suoi fratelli per aver macchiato l’onore della famiglia. Dopo di lei tocca a Diego essere finito a colpi di archibugio in una località non lontana da Favale. E prima ancora di loro due, ha pagato con la vita il precettore di Isabella, reo di aver facilitato la supposta relazione clandestina. È l’anno 1546. Gli assassini si rifugiano in Francia, mentre il corpo della giovane Morra viene sepolto nella cappella del castello. Durante le indagini giudiziarie, le sue liriche ritrovate in un baule finiscono a Napoli, insieme agli atti del processo. Un po’ alla volta saranno edite tra il 1552 e il 1556. Poi tre secoli di oblio sulla vicenda tragica e poetica. Soltanto nei primi decenni del Novecento, a Valsinni – nuovo nome di Favale dal 1873 – si risveglia per Isabella un interesse accresciuto dagli studi su di lei condotti dal filosofo Benedetto Croce, il cui saggio Isabella Morra e Diego Sandoval de Castro, uscito nel 1929, fa giustizia di tutte le imprecisioni e dicerie romanzate riguardo alla biografia, e concentrandosi invece sul valore letterario della sua produzione poetica determina la fortuna postuma dell’infelice poetessa.
Ben diversa dal borgo opprimente in cui lei si sentiva prigioniera, Valsinni è oggi consapevole «di dover valorizzare una storia che la caratterizza e la rende speciale», come osserva la Di Caro. A tal fine, nel 1933 è nato il “Parco letterario Isabella Morra” (uno dei primi del genere in Italia), «formalizzando in una cornice precisa un’attività che si teneva già da due anni: “L’estate di Isabella”, una vera e propria stagione di accoglienza nel nome della poetessa, un “viaggio sentimentale” proposto nei vicoli del borgo e naturalmente al castello». L’evento coinvolge «molti giovani di Valsinni, che si vestono in abiti d’epoca, organizzano pièces teatrali in cui si ripercorrono i fatti cinquecenteschi, fanno rivivere quell’atmosfera, animati dalla passione e anche dall’orgoglio della loro storia».
Isabella ha ispirato anche un film presentato nel 2005 al Festival del cinema di Venezia. Inoltre la Casa della Poesia di Monza «dedica un premio nazionale alla giovane castellana: se ne sono tenute otto edizioni. Nel tempo dunque, Isabella Morra è divenuta un simbolo; la sua qualità poetica è stata non solo riconosciuta, ma celebrata».