Iraq, dove andrà papa Francesco
L’annuncio è ufficiale, dato il 6 dicembre scorso dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni: papa Francesco ha accolto l’invito della repubblica iraqena e della chiesa cattolica locale di effettuare un viaggio apostolico in Iraq dal 5 all’8 marzo 2021.
Il papa visiterà, nei 4 giorni di permanenza nel Paese mediorientale, la capitale Baghdad, la Piana di Ur (l’antica patria d’origine del patriarca Abramo), la città di Erbil (nel Kurdistan iraqeno) e, nella Piana di Ninive, Mosul e Qaraqosh (una città dove fino a pochi anni fa i cristiani rappresentavano la maggioranza della popolazione).
Il papa aveva espresso il suo desiderio di recarsi in Iraq fin dal 10 giugno 2019, quando aveva dichiarato: «Un pensiero insistente mi accompagna pensando all’Iraq, dove ho la volontà di andare il prossimo anno».
Sarebbe la prima volta che un pontefice si reca in visita nel martoriato Paese fra i due fiumi, il Tigri e l’Eufrate. E papa Francesco sa bene che questa visita era un ardente desiderio di Giovanni Paolo II, che nel 1999 non potè realizzarlo.
In Iraq, oggi, la crisi economica, la disoccupazione, la forte corruzione e 1,7 milioni di sfollati interni rendono la vita degli iraqeni molto difficile. Secondo una stima dell’Unicef le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria sono almeno 4 milioni, e la metà sono bambini. E, oltre al resto, mancano ospedali e medicine e la pandemia ha provocato migliaia di morti.
Questo avviene nel quarto Paese al mondo per produzione petrolifera (subito dopo Usa, Russia e Arabia Saudita). La situazione politica del Paese è molto incerta, schiacciata dalla presenza di militari Usa e della coalizione internazionale, dalle milizie filo-iraniane e dalle cellule jihadiste dell’Isis, ma anche frammentata dalla dicotomia fra maggioranza sciita e minoranza sunnita, e con il mai risolto indipendentismo curdo al Nord.
Oltre a sciiti e sunniti musulmani, e diverse chiese cristiane, vi sono minoranze religiose costituite da yazidi, mandei e un piccolo numero di ebrei (erano molti di più in passato).
Per quanto riguarda i cristiani, vent’anni fa, prima delle due guerre del Golfo e soprattutto prima dell’occupazione da parte dell’Isis di Mosul e della Piana di Ninive (2014-2017), i cristiani iraqeni erano oltre un milione (tra 1 e 1,4 milioni). Oggi ne sono rimasti forse 300 mila o poco più.
Gli altri, costretti a fuggire al tempo dello Stato Islamico per aver salva la vita, sono profughi nei Paesi vicini, ma sono anche molti quelli espatriati alla ricerca di un futuro vivibile per sé e per i propri figli.
I cristiani, pur essendo sempre più una minoranza in Iraq, appartengono a diverse chiese e confessioni, quasi tutte molto antiche. Vi sono comunità cristiane di antica istituzione come quelle nestoriane e una chiesa autonoma, non legata né all’ortodossia né alla comunione cattolica, la Chiesa Assira d’Oriente. Fra gli ortodossi, le comunità più rappresentate sono quelle dei Siro-ortodossi e degli Armeno-apostolici. Di recente sono approdate in Iraq anche piccole comunità protestanti, soprattutto Avventiste.
I cattolici sono legati a quattro chiese principali: la maggioranza appartiene alla Chiesa cattolica caldea, con diocesi a Mosul, Kirkuk, Alqosh, Baghdad, Bassora ed Erbil. Vi sono poi gli Armeno-cattolici e i Siro-cattolici (a Baghdad e Mosul), oltre ad un piccolo numero di cattolici latini.
Una diffusa preoccupazione da parte delle Chiese cristiane, ma anche delle autorità civili (il presidente della repubblica, il curdo Barham Saleh, è stato in visita dal papa nel gennaio di quest’anno), è che la diaspora cristiana sia divenuta ormai molto forte. Da anni il patriarca caldeo Luis Raphael Sako moltiplica gli appelli ai cristiani perché non abbandonino il Paese. Ma quello che forse manca per convincerli a rimanere in Iraq, che è poi la loro terra, è la pesante mancanza di prospettive economiche e di lavoro, oltre al pericolo costituito dal terrorismo jihadista e dal timore di una sua risorgenza dello Stato islamico.