Iran, una protesta insopportabile per il regime
Nika Shakarami è una 17enne iraniana scomparsa a Teheran il 20 settembre durante una manifestazione di protesta dei primi giorni. Il suo cadavere con la faccia massacrata è stato ritrovato dopo 10 giorni, dai parenti che la cercavano, nell’obitorio di un carcere di Teheran.
Dopo il riconoscimento, la polizia ha sequestrato il cadavere per seppellirlo di nascosto in un piccolo villaggio, lontano da quello in cui vive la famiglia, per evitare che la tomba diventasse meta di pellegrinaggio da parte dei giovani.
Le proteste hanno coinvolto in diverse città iraniane anche ragazze e ragazzi delle scuole superiori, e questa è una novità rispetto al passato. Saeed Aman, musicista iraniano-fiorentino del gruppo (con Pejman e Leila) Bowland, noto in Italia per il 4° posto a X-Factor 2018, ha commentato il coivolgimento dei giovani studenti delle scuole iraniane nelle proteste: “È vero che è stata la morte di Mahsa Amini a scatenare le proteste ma ci sono tantissimi motivi, l’inflazione, i problemi economici, le sanzioni, una situazione tesa da anni, che alla fine è esplosa, in una protesta trasversale”. Senza parlare della disoccupazione e della corruzione, aggiungono altri.
Una interessante lettura della rivolta che va avanti da quasi 3 settimane in Iran, l’ha fornita in questo periodo una grande iraniana, Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace 2003, in esilio volontario dal 2009 (se tornasse in Iran rischierebbe probabilmente la vita): “La gente in passato, quando la polizia caricava, scappava. Ora non più.
Chi è in piazza reagisce. Ci sono immagini in cui si vedono i manifestanti picchiare gli agenti, i manifestanti correre per recuperare le granate di gas lacrimogeni e ributtarle contro la polizia, Questa autodifesa del popolo ha fatto sì che gli agenti abbiano perso coraggio. In molte città sono loro a scappare. E questo dà ancora più forza alla protesta. Il mio popolo vincerà”.
Le probabilità di una caduta del regime viene considerata comunque improbabile da molti analisti internazionali, e questo significa purtroppo che le forze di sicurezza potrebbero picchiare, arrestare, ferire e uccidere ancora più persone che in passato.
Una escalation che militanti, miliziani, militari e nomenklatura iraniani ritengono necessaria: ne va della sopravvivenza del regime stesso, che peraltro sembra rivelarsi, al suo interno, sempre più come un apparato di potere, con lotte intestine tra fazioni e corruzione diffusa. Almeno così sembrano pensarla, oltre agli insorti di almeno 140 città iraniane, anche i manifestanti di 150 città del mondo, e non solo dove le organizzazioni di fuoriusciti iraniani sono attive.
Un esempio molto coraggioso del sostegno alle proteste anti-regime, è stata la presa di posizione dei calciatori della nazionale iraniana che, prima di una partita amichevole con il Senegal disputata in Austria a fine settembre, al momento dell’inno nazionale iraniano hanno indossato un giubbotto nero in segno di solidarietà con le vittime delle proteste. Così ha twittato l’attaccante della nazionale, che gioca nel Bayern Leverkusen, Sardar Azmoun: «Non posso più tacere. La punizione è l’espulsione dalla nazionale? Cacciatemi. Se servirà a salvare anche una sola ciocca di capelli delle donne iraniane ne sarà valsa la pena».
La reazione alla rivolta da parte della Guida Suprema, l’83enne ayatollah Ali Khamenei (intorno alla cui successione si starebbero accalcando candidati di varie tendenze del panorama conservatore), dispiega i più consunti luoghi comuni del linguaggio di regime. Di fronte ai cadetti della polizia, lunedì 3 ottobre a Teheran, Khamenei ha detto: la morte di Mahsa Amini «è un tragico incidente che ha rattristato tutti. Ma la giusta reazione non è creare in sicurezza, bruciare il Corano, le moschee, le banche, le auto e togliere il velo alle donne».
Ed ha aggiunto che le proteste sono state organizzate «dagli Stati Uniti, dal falso e usurpatore regime sionista, da quelli che sono pagati da loro, e con l’aiuto di alcuni iraniani traditori che si trovano all’estero”. Dulcis in fundo, ha espresso solidarietà alle “forze dell’ordine del paese, i Basij» che insieme alla “nazione iraniana sono state offese più di ogni altra cosa».
Vale a dire, punto uno: Mahsa Amini è morta per un casuale infarto cardiaco e non per il pestaggio mortale attuato dalle milizie religiose, i basij. Tesi di stato che tutti gli apparati fedelmente ripetono a pappagallo. Punto due: la causa della rivolta è tutta e solo degli americani e degli ebrei, come sempre. Quindi, punto tre: noi siamo buoni e giusti, gli altri criminali e traditori. O con me o contro di me.
Cercare di affrontare i problemi reali e un dialogo con la gente è qualcosa di inconcepibile, oppure è troppo pericoloso?