Iran, l’eterno passaggio
Mi sono recato per qualche giorno a Teheran, capitale dell’Iran, con la delegazione vaticana impegnata nell’impegnativo dialogo con la società iraniana nel nono round del dialogo interreligioso tra il Centro per il dialogo interreligioso (CID) iraniano e il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
Due giorni di intenso dialogo, tra alcuni dei massimi esponenti della Chiesa cattolica impegnata in questo dialogo (il card. Tauran, presidente del Pontificio consiglio, mons. Ayuso, segretario, mons. Khaled Akaseh, sottosegretario per i rapporti con l’Islam, il presidente di Caritas Internationalis, Michel Roy…) e della Repubblica islamica (l’ayatollah Kashani, il dott. Ibrahimi Turkaman, presidente dell’ICRO, il dott. Helmi, presidente del CID…).
L’Iran, negli stessi giorni, è stato al centro dell’attenzione internazionale per le trattative sul nucleare a Vienna, per il caso di una giovane donna liberata sotto cauzione in attesa del giudizio dopo essere stata accusata di aver assistito a una partita di pallavolo e per le tante condanne a morte che continuano ad essere eseguite nelle piazze del Paese. In Occidente certamente l’immagine che se ne ha non è delle migliori.
Eppure a Teheran in realtà la vita scorre frenetica come sempre in una metropoli che conta ormai la bellezza di 14 milioni di abitanti: le sanzioni che da decenni ormai colpiscono l’Iran hanno creato fortissime difficoltà al Paese e alla sua economia, ma tuttavia senza riuscire a metterlo in ginocchio.
Si avverte sì una palpabile tensione tra coloro che condividono la politica governativa e coloro che invece hanno lo sguardo rivolto a Occidente e fissato sullo schermo dei loro smartphone, ma la società in ogni caso appare molto più vivace di quanto non succeda da noi. La vita culturale trova mille modi per esprimersi e il fermento artistico raggiunge vette impensabili fino a qualche anno fa. Nonostante le ristrettezze economiche.
La contraddizione che però appare più evidente, o piuttosto il paradosso, è quella tra l’indubbia tensione spirituale che continua ad attraversare l’intera società – quella stessa ricchezza personale e sociale che aveva portato al potere nel 1979 l’imam Khomeini sostenuto dai pasdaran che ora sono al potere – e la fortissima spinta a un sempre più forte razionalismo, tipico della tradizione persiana sciita, come viene testimoniato dall’altissimo tasso di scolarizzazione universitaria che supera gli standard internazionali. È, questa, una tensione certamente positiva che prelude, è questa la mia impressione, a un progressivo cambiamento del ruolo che il Paese ha nello scacchiere internazionale. Il coinvolgimento iraniano appare infatti ormai ineluttabile, nonostante le molte diffidenze.
E ciò perché la grande paura scatenata dall’Isis in Iraq e Siria, contro cui il governo statunitense ma anche quello iraniano vogliono opporsi strenuamente, è forse preludio al riconoscimento dell’Iran come potenza regionale nella diplomazia attiva nel Medio Oriente. È un passo assolutamente auspicabile, perché la pace nella regione passa inevitabilmente anche per Teheran, e non solo per Tel Aviv, Il Cairo e Ankara. Come ciò potrà avvenire non è ancora dato di saperlo compiutamente, ma certamente alcuni segnali di disgelo tra Occidente e Iran stanno manifestandosi.
Questo riavvicinamento potrebbe anche aiutare la società iraniana a trovare un nuovo equilibrio tra le aspirazioni delle nuove generazioni (due terzi del Paese hanno meno di 30 anni!) e la vecchia guardia degli ayatollah e degli imam, che dopo 35 anni di potere manifesta segni di stanchezza, come alcuni autorevoli esponenti iraniani riconoscono. Il mondo, questa è la realtà, non può fare a meno della presenza iraniana per cercare di risolvere le guerre vive o latenti del Medio Oriente. E viceversa l’Iran ha bisogno della spinta europea in particolare e occidentale in generale per realizzare pienamente le proprie potenzialità. A cominciare dalla fine delle sanzioni economiche.