Iran, la grande amnistia secondo la guida suprema

In rete e sui media circola da più di 2 settimane la notizia di una "grande amnistia" concessa ai dimostranti arrestati in Iran nei mesi scorsi. Gli organi di stampa del regime parlavano di «decine di migliaia» di possibili amnistiati in occasione del 44esimo anniversario della rivoluzione islamica khomeinista (11 febbraio)
Iran
Teheran, 11 febbraio 2023, manifestazione per la celebrazione del 44esimo anniversario della rivoluzione islamica. Sul corteo campeggiano bandiere iraniane e manifesti del leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, che per l'occasione aveva annunciato una grande amnistia per le persone arrestate durante le manifestazioni esplose in Iran dopo la morte della 22enne Mahsa Amini. (Foto AP/Vahid Salemi)

Grandi celebrazioni in Iran per il 44esimo anniversario della rivoluzione islamica, l’11 febbraio scorso. A Teheran, in piazza Azadi (cioè “libertà”, certamente non la stessa dello slogan jin, jiyan, azadi – donna, vita, libertà – proclamato dai manifestanti negli ultimi 5 mesi), fra decine di migliaia di persone, giganteggiavano i ritratti dell’ayatollah Khomeini, della guida suprema Ali Khamenei e del “martire” per eccellenza, secondo il regime, il generale delle Guardie della Rivoluzione (pasdaran), Qasem Soleimani, ucciso a Baghdad, a gennaio 2020, da un drone statunitense targato Donald Trump.

In vista dell’anniversario, la guida suprema aveva annunciato una grande amnistia per la persone arrestate durante le manifestazioni esplose in Iran dopo la morte della 22enne Mahsa Amini (16 settembre 2022), massacrata di botte da una squadra di basiji, la milizia morale al servizio dei pasdaran, per non aver indossato “correttamente” l’hijab obbligatorio.

La dichiarazione ufficiale del regime, ai primi di febbraio, proclamava che il provvedimento di grazia (secondo l’articolo 110 della Costituzione iraniana) sarebbe stato applicato a «decine di migliaia di persone», senza specificare altro, se non le condizioni per beneficiarne. Il provvedimento, al quale Khamenei aveva fatto ricorso diverse volte in passato, era stato sollecitato dalla magistratura stessa, dopo che, secondo fonti del regime, un gran numero di persone che avevano preso parte alle proteste degli ultimi 5 mesi si sarebbe pentito delle proprie azioni.

Esaminando però le condizioni previste per l’applicazione dell’amnistia si prova una sensazione di sconcerto, che in molti iraniani della diaspora (e non solo) si trasforma in un’amara risata di scherno.

In breve, il prigioniero viene liberato se non si è macchiato di spionaggio a favore di potenze nemiche, se non ha commesso omicidio o ha provocato lesioni, se non ha distrutto o incendiato beni dello stato, dell’esercito o comunque pubblici, se non è stato querelato da un privato e se non ha doppia cittadinanza. Inoltre, non possono beneficiare dell’amnistia gli accusati di reati che prevedono la pena di morte e tutti i condannati a morte. Chi non appartiene a queste categorie e firma un documento in cui chiede perdono e promette solennemente di non violare mai più la legge, può ottenere l’amnistia. Può, non la ottiene automaticamente.

Saeed Hafezi, giornalista iraniano che vive in Germania, scrive in un tweet: «Date un’occhiata ai termini dell’amnistia di Khamenei. Non include la condizione di nessuno dei prigionieri! Sapete perché? Perché sotto tortura sono costretti a confessare tutti quei reati». E il neuroscienziato Mahmood Amiry Moghaddam, che vive in Norvegia, dove ha fondato l’Ong Iran Human Rights (iranhr), ha commentato: «Non è una cosa nuova per il regime fare azioni di questo tipo soprattutto vicino alle ricorrenze. Di certo non lo fa per pietà. Il motivo principale è economico: le carceri sono zeppe e costano troppo: si rischiano rivolte».

Il giorno dopo la festa per l’anniversario della Rivoluzione islamica, domenica 12 febbraio, le «decine di migliaia» di amnistiati sarebbero usciti dal carcere. Ovviamente non si sa granché di queste presunte liberazioni. L’impressione è che qualche migliaio di persone siano state effettivamente scarcerate (su cauzione, che significa che restano monitorate e non possono lasciare l’Iran) e fra loro alcune persone note a livello internazionale, come per esempio il regista Mohammad Rasoulof (Orso d’oro a Berlino nel 2020) o il suo amico Jafar Panahi. E poi il medico Farhad Meysami (del quale erano circolate in rete foto spaventose dopo lo sciopero della fame) e l’antropologa franco-iraniana Faribah Adelkah (accademica Sciences Po a Parigi). Ed altri.

Il sito Hrana (Human rights activists news agency), ed altri media che fanno parte della nutrita (e spesso molto informata) diaspora iraniana (dissidente) nel mondo, pubblica quasi giorno per giorno i nomi di decine di persone rilasciate. Non sembra che si tratti comunque delle decine di migliaia annunciate dal regime. Quello su cui i media iraniani antiregime concordano è che il numero degli arrestati negli ultimi 5 mesi sia molto vicino a 20mila (e ben oltre 500 sarebbero i manifestanti uccisi o “suicidati” in questi mesi), senza contare quelli arrestati in precedenza. Ma le notizie che filtrano in questi ultimi giorni riferiscono anche di un incremento di impiccagioni: pare una trentina solo nelle ultime 48 ore (13-14 febbraio). A conferma del primato mondiale di esecuzioni giudiziarie che l’Iran detiene da tempo. Anche di queste persone giustiziate pubblicamente, di fronte a familiari, parenti e amici appositamente convocati (presenza praticamente non opzionale), Hrana indica nomi, cognomi, e luoghi in cui è stata eseguita la sentenza.

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