Iran: Donna, vita, libertà

Continuano dopo 7 settimane le manifestazioni di protesta esplose in Iran dal 16 settembre, il giorno della morte di Mahsa Amini. Cosa c’è dietro questa nuova rivolta contro il regime degli ayatollah, segnata così fortemente dalle donne?
Proteste in Iran (AP Photo/Middle East Images, File)

«Zan, zendegi, azadi (donna, vita, libertà) – lo slogan scandito dagli iraniani in rivolta – mobilita milioni di donne comuni, ed è direttamente collegato alla lotta di tutti, uomini compresi… Gli uomini che partecipano a zan, zendegi, azadi sanno bene che la lotta per i diritti delle donne è anche la lotta per la propria libertà: l’oppressione delle donne non è un caso speciale, è il momento in cui l’oppressione che permea l’intera società è più visibile». Così il filosofo sloveno Slavoj Žižek ha commentato le rivolte in Iran che durano ormai da 7 settimane, dopo la morte il 16 settembre di Mahsa Amini, la cui uccisione le ha scatenate.

Un segnale forte che la violenza del regime non ce la fa ad arginare la rivolta è stata la ricorrenza dei 40 giorni dalla morte di Mahsa: in tutto il Medio Oriente la ricorrenza dei 40 giorni dopo la morte di una persona cara è sentitissima e partecipata (anche tra i cristiani). Per la tradizione popolare musulmana i 40 giorni segnano la fine del lutto, perché dopo questo periodo l’anima si separerebbe dal corpo per prepararsi al paradiso. Nella ricorrenza dei 40 giorni dopo la morte di Mahsa sarebbero state oltre 10 mila le persone che si sono recate sulla sua tomba, sfidando divieti e minacce delle autorità, rischiando la libertà e la vita.

Una partecipazione di questa entità è difficile da conciliare con il Khamenei-pensiero espresso dalla Guida suprema ad inizio ottobre, secondo il quale le proteste sarebbero state organizzate «dagli Stati Uniti, dal falso e usurpatore regime sionista [Israele], da quelli che sono pagati da loro, e con l’aiuto di alcuni iraniani traditori che si trovano all’estero».

Secondo il recente rapporto di una organizzazione di dissidenti iraniani all’estero (i traditori di Khamenei), la rivolta contro il regime è attualmente diffusa in 203 città del Paese. I morti sarebbero oltre 450 e gli arrestati avrebbero superato il numero di 25 mila. Tanto che la polizia sembra ormai costretta a scarcerare molti arrestati perché l’affollamento delle prigioni ha superato ogni limite. In diverse occasioni alcuni vengono trattenuti per poche ore, schedati, minacciati e poi lasciati andare.

Ma al di là della cronaca, è molto interessante chiedersi come è possibile che una rivolta continui così a lungo apparentemente senza un’organizzazione, e come mai è così documentata sui social nonostante il blocco di internet imposto dal regime e la feroce escalation di repressione messa in atto. In realtà l’opposizione al regime c’è da tempo, ed è molto attiva fra gli oltre 4 milioni di iraniani che vivono all’estero.

Proteste in Germania contro la repressione in Iran (Christophe Gateau/dpa via AP)

Una realtà ben di versa dalla teoria dei “complotti stranieri” che il regime iraniano si ostina a stigmatizzare. Anzi esiste, fra altri gruppi ed organizzazioni della diaspora, anche un Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (Ncri), una consistente coalizione politica fondata nel 1993, con sede a Parigi, promossa dai Mojahedin del popolo iraniano (Mek), che raccoglie vari partiti, movimenti e associazioni: tra gli altri, oltre al Mek, ci sono il Fronte nazionale democratico, il Partito democratico del Kurdistan iraniano e l’Organizzazione delle donne democratiche iraniane.

Dal 2002, inoltre, il Cnri ha allargato la collaborazione ad altre realtà istituendo un “Fronte di Solidarietà Nazionale”, la cui adesione è fondata su 3 principi-base di cooperazione: rifiuto del regime teocratico, fondazione di una repubblica democratica, separazione tra religione e stato.

In una recente, ampia intervista del 29 ottobre, pubblicata sul sito internazionale del Ncri (anche in italiano: it.ncr-iran.org), il presidente della Commissione Affari Esteri del Cnri, Mohammad Mohaddessin, ha ammesso: «Abbiamo iniziato il meticoloso compito di formare Unità di Resistenza alcuni anni fa, nel 2014. Il Mek credeva che avere una rete organizzata all’interno dell’Iran fosse indispensabile per rovesciare il regime. Nel 2021, circa 1.000 Unità di Resistenza hanno inviato videomessaggi al vertice annuale della resistenza per affermare la loro determinazione su questo obiettivo. Nel 2022 sono stati 5.000 i membri delle Unità di Resistenza che hanno espresso con dei video lo stesso impegno».

Nell’intervista, lo stesso Mohaddessin spiega anche l’adesione e la partecipazione di molte donne iraniane all’organizzazione del Cnri, a tutti i livelli: «Il fatto che il presidente eletto della principale coalizione democratica di opposizione… sia una donna, Maryam Rajavi, ha ispirato generazioni di donne a conoscere i propri diritti, a rafforzarsi e a perseverare nella loro lotta a tutti i costi».

Maryam Rajavi e la sua storia, e l’impegno del Ncri, meritano decisamente di essere conosciuti meglio. Anzi è indispensabile per comprendere le rivolte iraniane e quella che l’uccisione di Mahsa Amini ha innescato.

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