Iran: ancora restrizioni per Fariba Adelkhah e le altre
In Iran, il concetto di diritti umani non gode di molta considerazione da parte della magistratura. È cosa purtroppo nota. Secondo Amnesty International, le autorità iraniane soltanto lo scorso anno hanno messo in carcere almeno 200 persone unicamente colpevoli di aver difeso pubblicamente i diritti umani, irrogando pesanti condanne (carcere e fustigazione). L’accusa è più o meno sempre la stessa, con poche varianti: cospirazione contro la sicurezza nazionale e propaganda contro lo Stato. Nel caso delle donne che si tolgono il velo per protesta, alla formula precedente se ne aggiunge un’altra, più o meno questa: istigazione alla corruzione e alla prostituzione. E sono molte le donne in carcere in Iran con questo tipo di imputazioni. C’è addirittura un terribile carcere in gran parte femminile, Kahrizak, per domare le più “pericolose”.
Un esempio famoso è quello di Nasrin Sotoudeh, premio Sacharov del Parlamento Europeo, amica e collaboratrice del Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi (in esilio), che per la sua attività di avvocato in difesa dei diritti delle donne è stata condannata a marzo 2019 da un tribunale di Teheran a 33 anni di carcere e 148 frustate (che basterebbero da sole ad uccidere chiunque). Le oltre 177 mila firme raccolte da Amnesty International per la sua liberazione hanno finora ottenuto solo la sospensione ufficiosa delle frustate.
È di questi giorni la notizia della scarcerazione temporanea di Fariba Adelkhah. Era da più di un anno in carcere a Evin (la prigione dei dissidenti), alla periferia nord di Teheran, dopo essere stata arrestata insieme al compagno Roland Marchal il 5 giugno 2019 a Teheran. A maggio scorso è stata condannata a cinque anni di carcere per cospirazione contro la sicurezza nazionale e ad altri 18 mesi per propaganda contro lo Stato.
La scarcerazione temporanea di Fariba Adelkhah non significa che possa lasciare il Paese, anzi le sarebbe stato applicato un braccialetto elettronico e non può allontanarsi dall’abitazione in cui si trova, presso alcuni parenti. Eppure la dottoressa Adelkhah (61 anni) è cittadina francese, anzi è un’accademica specialista di sciismo, ricercatrice al Ceri, il centro studi di Sciences-Po, la prestigiosa scuola universitaria di scienze politiche, a Parigi. I suoi genitori, iraniani, emigrarono in Francia negli anni settanta, quando Fariba aveva meno di 18 anni. È dunque una persona con doppia nazionalità, che a Teheran si era recata per motivi di studio. Ma alle proteste del governo francese e dello stesso presidente Macron, il portavoce della magistratura iraniana ha risposto, quasi indignato, che la legge non riconosce ai cittadini iraniani la possibilità della doppia nazionalità.
La vicenda di Fariba Adelkhah si inserisce in effetti nell’ambito di una campagna di arresti di cittadini con doppia nazionalità (sono una ventina gli universitari e ricercatori iraniani con doppia nazionalità attualmente detenuti nelle carceri del Paese), accusati di spionaggio e propaganda contro lo Stato. Molti di loro sono donne, come l’accademica anglo-australiana Kylie Moore-Gilbert, condannata per spionaggio a 10 anni di carcere, o come l’anglo-iraniana Nazanin Zaghari-Ratcliffe, condannata a cinque anni per appartenenza ad un gruppo illegale (tale è ritenuta l’organizzazione internazionale di beneficenza Thomson Reuters Foundation).
In realtà, dietro agli arresti di queste persone c’è probabilmente un disegno politico, quello di servirsi di loro come ostaggi per ottenere dai Paesi di cui sono cittadini lo scambio con qualche prigioniero iraniano detenuto in Occidente.
Indicativo è il caso del compagno di Fariba Adelkhah, l’accademico francese Roland Marchal, liberato lo scorso 20 marzo dopo 9 mesi e mezzo di detenzione, che è potuto rientrare in Francia. Probabilmente la sua liberazione è stata occasione di uno scambio (mai confermato dai francesi) con Jalal Rohollahnejad, un ingegnere iraniano arrestato per un tentativo di inviare in Iran tecnologie vietate dalle sanzioni statunitensi.
Anche Fariba Adelkhah potrebbe essere un ostaggio da scambiare, e la sua temporanea scarcerazione sarebbe solo una precauzione nei confronti del contagio da coronavirus, un rischio ben presente nelle superaffollate carceri iraniane.