Ippodamo, l’uomo che amava gli angoli retti
Fa impressione l’immagine satellitare di Mariupol’ trasformata dai bombardamenti russi in un immenso, spettrale campo di rovine. Colpisce anche, in una foto apparsa in un giornale, la regolarità del suo piano urbanistico: strade parallele che s’incrociano ad angolo retto formando una gigantesca griglia. E un nome subito mi torna alla mente: quello di Ippodamo di Mileto, l’architetto e urbanista greco che detestava gli agglomerati urbani caotici e sosteneva invece, per le città, la necessità di un piano regolatore. Tre strade principali con orientamento est-ovest, intersecate perpendicolarmente da assi secondari nord-sud, formavano una scacchiera di isolati quadrangolari tutti uguali nei quali andavano inseriti gli spazi per l’edilizia sacra, quella pubblica e quella residenziale. A chi gli faceva notare l’eccessiva monotonia di un piano del genere, l’architetto replicava che la varietà veniva garantita dalla forma architettonica dei singoli edifici.
Quest’uomo, la cui vita occupò buona parte del V secolo a. C., non fu l’inventore di tale schema razionale (già esistevano all’epoca città costruite così in Magna Grecia, nell’Italia etrusca e nell’Egitto ellenistico), ma fu lui, primo architetto dell’antichità di cui ci sia giunto il nome, a teorizzarlo. Va anche riconosciuta la sua originalità nella maestria con la quale sfruttava i dislivelli del suolo per ottenere risultati scenografici.
Prefigurando la città ideale, Ippòdamo immaginò la sua popolata al massimo di 10 mila abitanti, suddivisi in tre classi –– artigiani, agricoltori e militari – in altrettanti distinti spazi urbani. Non sappiamo se questo schema ebbe qualche applicazione concreta. Mentre ebbe enorme fortuna l’impianto ortogonale che da lui viene detto “ippodameo”, come testimoniano non solo le piante regolarissime di tante città del mondo greco-romano, ma anche di altre di moderna fondazione sparse in tutto il pianeta.
Peccato che di Ippòdamo ci siano state tramandate solo scarse notizie. Sappiamo però che fu uomo dell’ordine e dell’armonia anche per quanto riguardava la cura della persona e dell’abbigliamento; che a lui furono affidate la sistemazione del Pireo, il sobborgo portuale di Atene, e quasi certamente la ricostruzione di Mileto, sua città natale.
Affacciata sul golfo di Latmia, non lontano dalla foce del fiume Meandro, essa presenta singolari parallelismi geofisici e strategici con la città portuale di Mariupol’, sulla costa settentrionale del mar d’Azov presso la foce del fiume Kal’mius. Termine di un’importante via carovaniera che collegava la Mesopotamia alle coste del mar Egeo e alle sue isole, visse dall’VIII al VI sec. a. C. il suo periodo più prospero quale grande potenza marittima, commerciale e culturale (vi nacquero anche il filosofo e matematico Talete, i discepoli Anassimandro e Anassimene e lo storico e geografo Ecateo).
Prima colonia fondata dagli Ioni in Caria (Asia Minore), Mileto fondò a sua volta ben 90 colonie dall’Egeo al Mar Nero e intrattenne relazioni con l’Egitto e la Magna Grecia, specie con Sibari. Caduta sotto l’influenza persiana, le sue sorti cambiarono quando il tiranno Protagora, istigando la Dodecapoli ionica alla ribellione, scatenò il conflitto tra l’impero achemenide e i greci, costringendo anche Atene a intervenire. Conseguenza di ciò fu, nel 494 a.C., la sua distruzione da parte dei persiani, insieme alle altre città della regione e al celebre santuario oracolare di Apollo a Didyma.
Dopo la grande vittoria greca a capo Micale (479 a. C.), intorno al 460-455 la città dovette essere ricostruita di sana pianta (e qui, dicevo, entrò in gioco quasi certamente Ippòdamo), arrivando a contare circa 40 mila abitanti. Sotto Roma, durante il periodo ellenistico, conobbe un nuovo sviluppo economico, tanto da divenir nota nell’impero per i suoi costumi licenziosi.
Oggi Mileto è uno dei più importanti siti archeologici della Turchia con il suo teatro capace di 25 mila spettatori, lo stadio che poteva ospitarne 14 mila, i mercati, le terme, il ginnasio, il Bouleuterion (sede del consiglio cittadino), i numerosi templi, le due agorà. Non mancano, del periodo bizantino, i resti di un castello e di alcune chiese che riutilizzarono edifici di epoca ellenistica.
La fotogrammetria aerea con drone ci informa anche sui quartieri ancora sepolti, impressionanti per la loro geometrica regolarità: una immensa scacchiera ottenuta dall’incrocio di una quarantina di strade con direzione ovest-est e di altrettante nord-sud. Sia che vi abbia posto mano Ippòdamo in persona, sia che altri abbia inteso dare così attuazione alla sua città “perfetta” di geometrica bellezza, il piano regolatore di Mileto rimane emblematico nella storia dell’urbanistica per la “magnifica ossessione” dell’angolo retto.
Va anche detto che non tutti i suoi contemporanei giudicarono il modello ippodameo privo di inconvenienti. Fra gli altri Aristotele, il quale obiettò che, nel caso di conflitto, la regolarità del reticolo urbano e la larghezza degli assi viari avrebbero facilitato la rapida conquista da parte delle truppe nemiche. Osservazione calzante per la città martire di Mariupol’, ma non per Mileto che, risorta dalle distruzioni persiane, non dovette mai più soffrire eventi così traumatici. Fu un altro nemico, più subdolo, a decretarne la lenta decadenza fino allo spopolamento in epoca ormai bizantina: quel fiume Meandro che, insabbiando due dei suoi quattro porti e cingendo d’assedio la città con una corona di acquitrini malsani, pose fine alla sua fortuna commerciale. Fino al colpo di grazia dato, nel X secolo, da uno di quei terremoti così frequenti in Asia Minore.