Io sono un clown
La prima mondiale è stata ieri, al Festival del cinema al Maxxi a Roma. Marco Spagnoli, ricercatore inesauribile del mondo del cinema ha presentato Fellini – Io sono un clown che racconta la strana e bella storia di Peter Goldfarb, il giovanissimo produttore americano che nel 1967 ha convinto, per la prima volta, Federico Fellini a lavorare per la NBC statunitense.
Per oltre mezzo secolo il racconto è rimasto inedito e oggi Goldfarb, nel suo italiano strascicato ma espressivo, fa rivivere quel periodo in cui seguiva il regista giorno e notte nel suo lavoro, tra gente improbabile, in quel gioco che era fare cinema per lui. Il film è strutturato in una specie di dialogo ideale tra il produttore e Federico che comprende materiale originale – alcune sequenze mai viste ad esempio di The Clown (1970) – e la voce di Neri Marcorè che porta in scena lettere, pensieri, interviste e sogni felliniani.
La fauna del circo ideale che girava intorno al regista risorge intatta: egli sceglieva le persone che si sarebbero divertite con lui a fare film in cui l’autobiografia c’è, ma a spezzoni, sottintesi e spesso contraffatta. Sfilano attori come Giulietta Masina e in particolare Marcello Mastroianni in scene inedite – anche polemiche con il regista specie sul set dell’incompiuto Mastorna -, coinvolgenti, gustose, come le turiste americane che vogliono l’attore presentarsi sul terrazzo di casa a salutarle come immagine mondiale del latin lover. E Mastroianni si affaccia e parla, nel suo inglese ”ciociaro”.
Goldfarb ha un ulteriore merito, quello di aver aiutato Fellini a realizzare il documentario Federico Fellini Note di un regista, forse il primo del cinema italiano, utilizzando uno schema che Federico avrebbe poi utilizzato in lavori come Intervista, Prova d’orchestra e Roma.
Fra le immagini logorate dal tempo appare vivissimo un regista onnipresente, che non ama la solitudine, circondato da un autentico circo umano di cui lui è l’oggetto del sogno, il grande ammaliatore. Straordinariamente sincero qui – Fellini era un grande “bugiardo” – come quando afferma: «Faccio film perché questa mi pare la mia vita, è l’unica cosa che so fare, non so fare altro, è un gioco».
Forse anche per questo motivo nel documentario di Spagnoli le scene dal Clown sono così frequenti e gli inserti sconosciuti gettano un ponte tra l’autore e noi che ancora lo sentiamo vivo.
In questo lavoro composito, scritto con amore evidente, resta impressa la confidenza di Golfarb ormai anziano: «Un giorno Fellini abbandonò la sua testa sulla mia spalla e disse: “Io sono un clown, non ce la faccio più, sono stanco, talmente stanco…”». Un momento insolito e commovente che apre uno spiraglio sul vero Fellini, quello che getta per una volta la maschera e non è quel monumento che lui e altri volevano erigere.
Un documentario prezioso, curato, e leggero che vale la pena vedere anche più di una volta.