“Io faccio nuove tutte le cose”
Avevo trentatré anni e da sedici mi ero consacrata a Gesù tra le Domenicane di Santa Caterina, quando la mia vita sfociò in una crisi profonda.
La scoperta di Dio amore
La formazione che avevo ricevuto, prima a casa e poi in convento, mi faceva vedere Dio come colui che era da temere più che da amare. Con il passare degli anni, sperimentando la mia debolezza e le mie mancanze, crebbe in me il timore di un Dio giudice inesorabile. In qualche momento pensai di lasciare la comunità, ma avvertivo che il dolore e il profondo disagio che sentivo nell’anima mi avrebbero accompagnato ovunque.
Poi, una domenica di quaresima del 1974, durante la messa che iniziava con le parole “Ecco io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5), l’amore di Dio per me si rivelò con tutta la sua potenza e bellezza.
Fu in quei giorni che conobbi il Movimento dei Focolari. Partecipai ad un incontro in cui si parlò proprio di Dio Amore. Non so dire cosa fu per me; la luce e la gioia che ne ricevetti mi fecero sperimentare l’Eterno e confermarono ciò che l’amore di Dio aveva già operato in me. Da quel momento ebbi un solo desiderio: amarlo totalmente e vivere per lui solo ogni istante della mia vita.
L’incontro con Gesù abbandonato
L’anno successivo, durante un incontro di consacrate, Dio mi attendeva ancora con una grazia determinante per la mia vita.
Chiara Lubich, in una sua conversazione, parlava del momento in cui Gesù sulla croce aveva gridato “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (Mt 27, 46). Gesù si era sentito abbandonato anche da Dio e Chiara aveva scelto di riconoscere questo suo volto in ogni situazione dolorosa della vita. Lui che si presentava con volti diversi, nel dolore più banale o nel più assurdo, ma era sempre Lui. Chiara riconoscendolo gli diceva: “Sei ancora tu, anche in questo dolore”… e poteva dirgli: “Ti voglio bene”.
Mentre ascoltavo, mi si presentò agli occhi dell’anima un dipinto del Beato Angelico che rappresenta san Domenico, abbracciato ai piedi del Crocifisso, col volto appoggiato sulla croce. Il carisma di noi domenicani è “trasmettere agli altri la Verità contemplata e amata”. Ma chi è la Verità se non Gesù crocifisso che con tutto il suo dolore ci rivela la verità dell’amore infinito del Padre per l’uomo? Capii che se avessi amato Gesù nel culmine del suo dolore, lo avrei servito e amato totalmente in tutti i fratelli e sarei stata una vera domenicana.
Iniziai ad amarlo in ogni persona che incontravo, soprattutto in coloro che più gli assomigliavano, perché soffrivano nel corpo, oppure perché oppressi dai dolori dello spirito. E lo riconoscevo in me, nelle contrarietà della vita quotidiana, nella malattia, nei rapporti non sempre facili con gli altri, nei dolori che mi procuravano le mie cadute e fallimenti. Anzi, questi erano per me un trampolino per lanciarmi con più fiducia nelle sue braccia e ogni volta lo riscoprivo più bello, più amore, più “Dio della gioia”.
Desideravo farlo conoscere anche a tutte le persone che avvicinavo e capivo che non con le parole, ma solo con la vita avrei potuto trasmettere qualcosa di colui che è l’amore. Malgrado la mia piccolezza, amando Gesù in ognuno ho potuto coinvolgere molti altri, alunni, consacrate, famiglie, ad amare ogni fratello sulla base della parola: “Ogni cosa che hai fatto al più piccolo dei miei fratelli l’hai fatta a me” (cf. Mt 25, 40).
In Argentina
Era bello andare avanti insieme, ma proprio in questo periodo bellissimo Gesù mi chiese di lasciare tutto e di seguirlo in Argentina. Fu un grande taglio per me. Con la sua grazia riuscii a dire questo sì, mettendo da parte ogni ragionamento umano.
In Argentina rimanevo nella nostra casetta tutto il giorno da sola. Mentre le altre due sorelle andavano in città per il loro lavoro e apostolato, io dovevo pensare alle cose di casa e ricevere i poveri del barrio.
La differenza con la vita che avevo lasciato era grande e grande la fatica e il disagio che provavo. Quei poveri avevano bisogno di tutto, specialmente di cure mediche ed io non sapevo fare niente in questo campo. Dio mi faceva sperimentare la mia inutilità. Tra i fallimenti mi impegnavo a ricominciare ad amare e a credere che in ognuno di quei poveri era Gesù che veniva a visitarmi.
Una mattina mi portarono una bimba che era caduta nel fuoco e aveva tutta la pancia bruciata. Sentii una grande impotenza! Rivolgendomi a lui, capii che Gesù abbandonato aveva voluto essere anche questo: l’impotente, l’inutile, il solo, il separato da tutto e da tutti. In una parola: solo dolore offerto per amore.
Così compresi che il Padre mi chiedeva di offrirgli, per amore di quelle persone tra le quali mi aveva portato, il dolore della mia impotenza, inutilità, solitudine, separazione dalle persone care… così come aveva fatto Gesù sulla croce. Sperimentai allora una grande pace e vi trovai il senso vero del mio stare lì.
Dopo nove mesi fui trasferita in un altro paese, dove avevamo un grande istituto scolastico. Ritornai così di nuovo all’insegnamento e ad occuparmi di un numeroso gruppo di giovani. Avevo ormai capito però che non è tanto importante quello che si fa, ma l’amore col quale si fa. E, dato che l’amore suscita amore, a poco a poco si crearono rapporti nuovi con tante persone.
In parrocchia la mia tensione era l’unità con il parroco e con i suoi collaboratori; davo tutto il mio apporto alle loro iniziative, offrendo anche con distacco il mio contributo di idee, di vita e quanto veniva accolto lo portavamo avanti insieme.
I giovani cominciarono a sentire la spinta interiore a dedicarsi agli altri, per aiutarli nei loro bisogni materiali e per portare a tante persone la luce del Vangelo. La vita dell’intero paese sentì i benèfici effetti di questa realtà nuova.
Questa esperienza così bella mi ha fatto sperimentare come la mia vita di domenicana, vissuta alla luce della spiritualità dell’unità, ha ridato splendore al carisma di Domenico e di Caterina da Siena.