Io, disabile, abbandonato dai tassisti e dalle istituzioni

Una vergogna, una discriminazione, una forma di razzismo insopportabile, quella che denuncia l'autore di questa lettera. Insieme a un invito a puntare ad una cultura attenta ad ogni persona
taxi

Carissima Presidente Boldrini, sai la stima che ho per te, per tutto quello che hai fatto e fai. Per questo mi permetto di scriverti di un mio complicato viaggio, da Firenze a Palazzo Montecitorio, dove sono stato invitato a parlare ad un convegno sulla industria e sul mercato delle armi.

Parto da Firenze alle 12,08 sul Frecciarossa da Milano a Roma Termini. La prima difficoltà è che il posto previsto per i disabili non ha un tavolino su cui appoggiare un libro, un giornale, una tazzina di caffè. Di questo ho discusso già più volte con Trenitalia, fino ad arrivare al ministro Del Rio.

Hanno condiviso le mie osservazioni, ma nel concreto niente sembra cambiare. Ho dovuto mettere la tazzina per terra, sorte analoga per i miei giornali e libri. Ovviamente il disabile non ha diritto ad una presa per il suo cellulare e il suo computer. Come dire, ti facciamo salire sul Frecciarossa, ma non chiedere troppo, in fondo sei un disabile.

 

Alle ore 13,45 il treno arriva a Termini. Il servizio di assistenza è perfetto. Mi vengono a prendere con il carrello e rapidamente mi fanno scendere e un assistente mi chiede dove voglio essere portato. Gli indico l’uscita centrale di Termini, perchè devo prendere il taxi per andare a Montecitorio.

In un attimo arriviamo ai taxi. C’è un primo segnale che riguarda i disabili che vogliono prendere il taxi e poi c’è un cartello per tutti gli altri. Subito mi sorprende il fatto che pur essendoci moltissimi taxi e moltissimi cittadini, nessuno si avvicina al segnale dei taxi dei disabili. In un attimo l’enigma si chiarisce: i taxisti preferiscono non far salire i disabili sui taxi.

Pur essendo evidente la mia presenza in carrozzina con l’assistente, tutti guardano da un’altra parte. Nessuno si avvicina al cartello dei disabili: io mi trovo al cartello disabili e nessuno si avvicina, anche se i taxi sono numerosissimi.

Una vergogna, una discriminazione, una forma di razzismo insopportabile. Decido di entrare in azione. Mi faccio scendere dal marciapiede e dico che mi metto a urlare se non mi fanno salire. Una situazione incredibile. Alla fine mi avvicino a un taxista, che è quasi costretto a farmi salire. Mi invita a non urlare, ma io gli spiego che solo urlando sono riuscito ad essere ascoltato.

 

Finalmente si va verso Montecitorio. Si arriva alla parte bassa della piazza e i carabinieri fermano il taxi e dicono che i taxi non possono passare per motivi di sicurezza. Io contesto che devo fare la salita per entrare nel palazzo, dopo aver attraversato tutta la piazza sotto un sole forte. Per altro non è in atto nessun controllo sui cittadini che attraversano la piazza, ognuno con le sue borse e con le sue cartelle. Domando al carabiniere quanti disabili vanno in un giorno a Montecitorio. Sono gli unici ad essere controllati.

Verrebbe da dire che Termini e a Montecitorio c’è lo stesso disprezzo, gli stessi ordini senza senso, anzi, per meglio dire, a senso unico. Finalmente, sudato e affaticato (ho fatto da solo tutta la piazza con la mia carrozzina) entro a Montecitorio.

Innanzi tutto chiedo ai commessi di chiamarmi per le 17 un taxi per tornare a Termini. Mi confermano che il taxi può essere chiamato, ma non può venire a Montecitorio. Mi indicano l’albergo Nazionale come punto di incontro a cinquanta metri da Montecitorio. Distanza non insperabile, ma faticosa, se la si compie con una carrozzina, con una borsa e con i “sanpietrini”.

 

Cara Laura, il meglio deve ancora venire. L’incontro a cui io partecipo avviene nella sala della Regina. Una sala ampia e solenne e così civile da avere una pedana per far salire un disabile sul palco dei relatori. Ma, c’è un ma! La pedana, pur solenne, ha all’inizio un scalino che mi impedisce di salire. Solo grazie alla attenzioni di alcuni presenti che prima mi sollevano e poi mi spingono, finalmente arrivo sul palco.

Ebbene si. Non ci accontentiamo di una qualunque pedana, siamo massimalisti, vogliamo una pedana senza scalino, perchè altrimenti non ce la facciamo, perchè siamo deboli e non siamo forti. Ma anche tu Laura, perché non ti accorgi di queste cose? Perché non riesci a vedere le difficoltà con lo sguardo dei disabili e non degli abili?

E poi, invece di essere felice perchè i disabili vengono nel Palazzo, avalli proibizioni francamente incomprensibili, che li tengono lontani. Che alimentano la cultura dell’ostacolo e dello scalino. Alla fine in quella piazza gli unici a essere controllati e ad essere soggetto di proibizioni sono i disabili. Agli altri non costano niente due passi a piedi. A me spingere una carrozzina sotto il sole, qualche fatica la procura.

 

Nel mio intervento al convegno ho fatto riferimento a quanto mi era accaduto. E ho sottolineato che se non si vedono gli scalini dei disabili a maggior ragione  non vedremo i guasti devastanti della cultura della guerra e della produzione e del commercio delle armi.

Cara Laura insieme combattiamo contro il “razzismo” dei taxisti e contro la cecità del Palazzo, che non vede gli ostacoli e gli scalini e non si fa carico dell’accessibilità.

Dei disabili si parla nella nostra Costituzione. I loro diritti stanno iscritti in quella cultura personalista  e solidale, che è la nostra casa  comune. Non disperdiamola, non dimentichiamola.

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