Io c’ero

A dieci anni dal conferimento della cittadinanza romana Chiara Lubich viene ricordata in Campidoglio. Testimoni locali e internazionali narrano di una proposta diventata vita.
capidoglio

Ci sono momenti nella storia personale, di un gruppo, di un popolo, nei quali si ha la netta sensazione di vivere una tappa che ha il sapore di “fondazione”, qualcosa che segna un prima e un dopo. Lì per lì è, appunto, una sensazione che solo gli anni a venire potranno confermare o smentire. Una manifestazione internazionale, il conferimento di una laurea honoris causa o di una cittadinanza, l’incontro con comunità delle più diverse fedi religiose, il rapporto con politici degli opposti schieramenti, hanno fatto la storia del Movimento dei focolari in un dato Paese e delle persone come delle istituzioni di volta in volta coinvolti o addirittura promotrici dell’evento.

Così è successo anche a Roma, che ricorda quest’anno i dieci anni dal conferimento della cittadinanza onoraria a Chiara e nell’anniversario della sua partenza per il Cielo le dedica un convegno: “Chiara Lubich, una vita per l’unità”.

Il giorno precedente, il 13 marzo, un appuntamento di carattere religioso: nella basilica di san Giovanni in Laterano, gremita di oltre duemila persone, mons. Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura presiede la Messa animata dal Gen verde. Nell’omelia, riferendosi alle scritture ascoltate, sottolinea come «sapienza e unità sono state la sostanza dell’esistenza di Chiara Lubich. Se guardiamo alla sua storia, vediamo quanto sia stata soprattutto l’aver messo in pratica quella famosa frase di Cristo “Voi siete il sale della terra”».

 

Più e meglio per Roma

Il pomeriggio del 14 marzo, Chiara “torna” in Campidoglio. Vi aveva ricevuto la cittadinanza onoraria nel giorno del suo ottantesimo compleanno, il 22 gennaio 2000 e, a nome del Movimento dei focolari presente nell’Urbe, si era impegnata a lavorare «più e meglio» per Roma, il cui nome «letto al rovescio, suona Amor». Oggi numerosi romani allora presenti e tanti altri che nel frattempo sono stati coinvolti in questo impegno sono tornati in quell’aula Giulio Cesare e nelle sale attigue. Portano la vita, la fatica, le gioie di un percorso teso a ravvivare il tessuto sociale nelle trame di una grande città dove l’anonimato e l’indifferenza rischiano di prendere il sopravvento. «Certamente quell’invito di Chiara a “lavorare più e meglio per Roma” non poteva cadere nel vuoto» racconta Walter Fiorelli che insieme alla comunità del VI municipio ha promosso incontri culturali «conditi di vita vissuta», fatti di attenzione al prossimo, in particolare ai più soli, fino all’apertura di uno sportello d’ascolto. Mentre per Rosalba Lauria la nascita di un figlio con grave disabilità si rivela l’occasione per dar vita all’associazione Happy time rivolta a bambini con vari handicap e ai loro genitori, «una catena di solidarietà che coinvolge tantissime persone», fino all’equipe della cattedra di Pedagogia speciale dell’Università Roma Tre.

 

Testimoni di un Carisma

“Chiara Lubich: una vita per l’unità”, recita il titolo della manifestazione, che vede la partecipazione di personalità politiche e religiose, italiane e non solo. Impossibile ripercorrere una lunga vita spesa per realizzare la richiesta di Gesù al Padre: «Che tutti siano uno». Ma bastano alcuni flash, il ricordo di qualche momento “fondante” per dare l’idea di cosa ha operato ed opera il carisma di Chiara per costruire la fraternità.

Dopo gli onori di casa da parte dell’assessore Bordoni per il Comune, dell’assessore Visentin per la Provincia e il saluto di mons. Rylko, presidente del Pontifico consigli per i laici, testimoni, venuti per l’occasione anche da lontano, sembrano dire con le loro parole: «Io c’ero»; e ad ascoltarli si capisce che da quell’incontro con Chiara qualcosa di importante è cambiato nella loro vita e in quella di tanti.

Da New York sono venuti l’imam Pasha e il rabbino Shevack. Loro “c’erano” ad un incontro storico avvenuto nel maggio ’97 ad Harlem. In quell’occasione, per la prima volta, una donna bianca e cristiana, Chiara, era stata invitata a parlare a tremila musulmani. «Avevo tanti pregiudizi, molta paura, la pelle bianca ed ero ebreo – racconta il rabbino – ma una volta lì, per pochi secondi non sono stato più in grado di distinguere i colori; è stato come se si fosse aperta una porta d’accesso che negli anni si è allargata. Adesso, grazie a Chiara, sono una persona che per il 95 per cento non distingue più i colori». «Il patto stipulato in quell’occasione non morirà mai – aggiunge l’imam -; esso ha cambiato il mondo e ha reso l’America migliore». Nonostante le Torri gemelle, la fraternità si è fatta strada.

Martin N’Kafu e Anna Paula Meyer (nella foto insieme a Chiara) portano la vita di Fontem, nel Camerun dove Chiara si era recata per l’ultima volta nel maggio 2000. Anche lì, con i re di diverse tribù, si era stipulato un patto carico di conseguenze per la convivenza civile e ha preso piede la nuova evangelizzazione.

Imprenditori brasiliani e italiani raccontano i “miracoli” in campo economico a 19 anni dal lancio che Chiara fece a san Paolo dell’Economia di Comunione.

E non possono mancare i giovani. Emy, Andrea, Rajvinder, anche loro affermano con fierezza: «Io c’ero». Si riferiscono in particolare ad un meeting mondiale, il Supercongresso svoltosi nella capitale nel 2002, uno dei momenti forti che ha orientato le loro scelte di vita, sicuri che, come sostiene Rajvinder, indiana e sikh, «anche se lei non c’è più il suo messaggio continua dentro di noi».

 

Una vita che continua

Allo stupore iniziale per quegli interventi di Chiara che molto spesso hanno avuto il sapore della profezia è subentrata l’evidenza dei fatti: cambiamenti di rotta a livello religioso, economico, politico, sociale, culturale, senza tralasciare quella dimensione personale che ne è alla base.

«Non una commemorazione, ma una celebrazione, perché si commemora qualcuno che ci ha lasciato; ma noi vogliamo celebrare una vita che continua per beneficare l’umanità». Nel saluto iniziale della presidente dei Focolari, Maria Voce, il senso della manifestazione capitolina.

Lo conferma l’on. Rutelli, sindaco di Roma all’epoca del conferimento della cittadinanza: «Questa nostra cittadina c’è e continua ad operare in questa nostra città».

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