Io atea, ho reso omaggio al papa

Tra le persone in attesa per entrare in piazza San Pietro gente di tutte le età in festa. Fra loro Anna, una pellegrina particolare: giovane, fiorentina e atea
giovanni paolo II

La sveglia suona presto, sono le 3.50, e per qualcuno è già tardi! Questa notte si dorme poco e siamo fortunati, c’è chi fin dalla sera prima è alla ricerca di un posto, di un qualsiasi pertugio per entrare in piazza San Pietro.

 

Siamo in otto a uscire di casa: zaini in spalla, acqua, qualche panino, due grandi borse in mano, oltre che sotto agli occhi. E via, nella notte romana, verso la stazione Trastevere. Pochi minuti di viaggio e siamo alla stazione San Pietro. Ci sono già vari gruppi di persone, provenienti un po’ da tutte le parti del mondo, che in questa notte si perdono nei percorsi obbligati che il comune di Roma ha previsto per raggiungere la piazza nel modo più ordinato possibile.

 

Non c’è niente da fare, le forze dell’ordine sono irremovibili, non si può accedere direttamente a San Pietro dal colonnato, bisogna risalire dal lungotevere ed entrare da via della Conciliazione. Sono da poco passate le cinque e una fiumana di gente si riversa così verso la galleria Principe Amedeo di Savoia, per raggiungere poi il lungotevere in Sassia e in seguito via San Pio X. Da lì, l’ingresso verso la piazza che durerà, per i più fortunati, almeno tre ore.

 

C’è il primo blocco, poi il secondo; passano lunghi minuti di attesa prima di ripartire. Tra un panino e un sorso d’acqua scambiamo due chiacchiere con chi è vicino a noi: c’è aria di grande festa, ma anche un po’ di inevitabile tensione per la stanchezza che comincia a farsi notare verso la fine del percorso. In cammino non ci sono solo giovani: ci sono anche anziani, persone di mezza età, i grandi gruppi come le piccole famiglie. Tra loro c’è anche Anna.

 

Anna è fiorentina, venuta apposta a Roma per l’evento. Niente di particolare a ben guardare, se non fosse per una convinzione che lascia sbalorditi: Anna è atea, non crede in Dio. Eppure ha deciso di intraprendere lo stesso il viaggio. Non ho un registratore a portata di mano, ma ci diamo appuntamento per il giorno dopo. Ed eccoci qui.

 

«A Roma ho degli amici» – comincia a raccontare – «da sola non l’avrei mai fatto, anche perché, per la mia formazione, mi sento un po’ distante da queste cose. Alla fine ha prevalso la voglia di condividere qualcosa che sento importante per i miei amici».

 

Perché tu, atea, hai voluto partecipare a un evento ecclesiale?

«Quando ho saputo della beatificazione ho capito che sarebbe stata l’occasione di rendere grazie a una persona che si è impegnata nel suo ruolo al massimo delle sue possibilità, accettando di essere una guida per miliardi di fedeli, ma mettendo al centro la persona, di qualsiasi credo o non credo fosse. In questo senso la sua vita, se uno prova ad aprire un po’ la mente, può essere vista come un insegnamento per chi crede, ma anche per chi una fede non ce l’ha».

 

Cosa ti ha colpito di Giovanni Paolo II?

«Il fatto che non si è mai risparmiato e ha lavorato sodo per affermare la dignità della persona in quei valori in cui si riconoscono credenti e non credenti. Giovanni Paolo II è certamente una figura rappresentativa della Chiesa che però è entrata a far parte della vita di tutti; ho visto tanti suoi interventi in video e anche se lui si riferiva ad altri, indirettamente sento si riferisse anche a me».

 

L’impressione del giorno dopo…

«Fisicamente sono distrutta e ho dolori ovunque, ma questo era nel conto. È più forte l’emozione che ho provato quando il drappo si è tolto e abbiamo rivisto il volto di Giovanni Paolo II. In quel momento, in quell’applauso che non finiva più, si è condensato il significato di tutto, la nostra gioia. È la stessa che ho sentito io e che hanno provato le persone che accanto a me piangevano emozionate. Ho respirato e goduto della felicità dell’altro, così come ho rivisto la grandezza di questo papa e del suo insegnamento nei volti dei pellegrini. È una forza che forse io non posso percepire e capire fino in fondo, ma che mi ha fatto comunque un gran bene, perché l’ho sentita in chi mi era accanto».

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