Invito in trattoria
L'amicizia, il valore aggiunto dell'originale locale trasteverino gestito dalla Comunità di Sant'Egidio.
Pensate allo zio di Benigni in La vita è bella: grandioso zio cameriere, che faceva l’esame di camerierato al nipote. Ecco, un cameriere professionista come quello, però, rischia di mandarti per traverso il pranzo, se si fa prendere la mano e comincia a sorvegliare il tuo bicchiere perché te lo vuole riempire quando è a metà.
Immaginate invece adesso un cameriere che, la seconda volta in cui entrate nel locale, ricorda quale vino preferite e se l’acqua la volete gassata oppure liscia. E immaginate una trattoria dove il sommelier, nonostante una grandissima abilità nel descrivere i vini, è astemio.
Ecco, ora vi trovate nella “Trattoria degli amici”. Dove sta una trattoria del genere? A Roma, naturalmente. Anzi a Trastevere, nel cuore della capitale.
«Abbiamo scelto questo nome – spiega Giuseppe di Pompeo, che ne è il gestore – perché chi viene a trovarci trova degli amici. Per noi questa è la garanzia che la gente ritorni». Nel menù lo slogan del ristorante recita: «Le cose fatte in amicizia sono fatte meglio». E infatti, continua Giuseppe, «l’amicizia è il valore aggiunto del locale».
L’idea della “Trattoria degli amici“ nasce in seno alla comunità di Sant’Egidio, dove già era sorto l’omonimo movimento degli amici che regge anche un laboratorio di pittura i cui lavori rimangono esposti sulle pareti del locale, fino a quando non vengono venduti. Il ricavato finanzia un progetto per la cura dell’Aids in Africa. È stata coinvolta anche la critica ufficiale: a dare sostanza al progetto la professoressa Simonetta Lux, docente di Storia dell’arte alla Sapienza di Roma.
L’iniziativa nasce come risposta concreta ad un problema serio: l’inserimento nel mondo del lavoro di persone con handicap mentali. Come spiega Giuseppe, «nel 1991 tre nostri amici con disabilità mentali, nonostante vari tirocini presso diversi istituti, non riuscivano a trovare un impiego. Allora abbiamo aperto una paninoteca gestita da loro, mentre noi facevamo da assistenti volontari. Pensa: c’era tra loro una ragazza che, si può dire, viveva murata in casa. Adesso per lavorare da noi viene tutti i giorni da Ostia. Dalla paninoteca siamo passati poi alla “Trattoria”, dove ora lavorano otto persone con handicap mentale, oltre ad altre sette. Tra i disabili stessi, due sono aiuto-cuoco».
La “Trattoria degli amici” è menzionata nella prestigiosa guida del Gambero rosso, ha vinto il primo premio del sito www.ristorantidiroma.it, e non da ultimo, il premio Flavio Cocanari, della Cisl, per il miglior inserimento di diversamente abili nel mondo del lavoro. E già una diecina di ristoranti di Roma ha assunto qualcuno degli “amici” che hanno frequentato i corsi di formazione professionali per persone con handicap promossi dalla “Trattoria”.
«Anche i nostri cuochi – spiega Giuseppe – li abbiamo formati noi, con un corso annuale per disabili. È di buon livello e prevede molte ore, in collaborazione con la birra Peroni, azienda nata a Roma e profondamente legata alla capitale».
Gestire un ristorante a Trastevere non è un gioco: «E infatti ben presto ci siamo accorti che nessuno di noi era del mestiere. Ma una volta imparato, i risultati si sono visti: la “Trattoria” mi ha fatto scoprire che la solidarietà può funzionare anche in un ambito di business. Che, insomma, solidarietà non vuol dire bilancio in passivo».
Tra i migliori clienti, i turisti; che spesso non si rendono immediatamente conto di dove sono entrati. «Spesso si ha paura di avere a che fare con una persona disabile, eppure un incontro con i nostri amici può cambiarti la vita. Da noi non trovi il classico cameriere, al suo posto c’è una persona premurosa, che ha un gusto particolare nel fare le cose. Il nostro è un posto dove, anche se arrivi quando la cucina ha chiuso, trovi qualcuno pronto ad accoglierti. Tutto questo naturalmente i clienti lo apprezzano».
Da qualche parte ho letto che qui usano l’“intelligenza del cuore”. Chiedo a Giuseppe se si tratti di una ricetta segreta. «Le nostre ricette – spiega – spaziano all’interno del “repertorio” della cucina romana. D’altra parte stiamo a Trastevere. Ma l’“intelligenza del cuore” è ben altro che una ricetta: vuol dire capire, ma con il cuore. È quel qualcosa in più che ci permette di fare di ogni problema una risorsa. Per esempio, c’è un nostro amico che fatica molto ad imparare, ma qua intorno non so quanti amici si è fatto. È chiaro che il suo talento è l’accoglienza: e infatti è il suo lavoro».
La “Trattoria” ha insegnato agli amici un lavoro. Ma cosa hanno insegnato questi agli altri che lavorano fianco a fianco con loro? Giuseppe non ha dubbi: «Ci hanno insegnato a vivere. Tra loro non si fa concorrenza, ci si aiuta, ci si aspetta: è un mondo del lavoro totalmente diverso rispetto a come è fuori. Se ci pensi, ti viene da dire che il manicomio è la fuori, dove ognuno tenta di fare le scarpe all’altro. Loro mi hanno insegnato il valore di fermarsi, che non è necessario correre».
Vengo a sapere che nell’iniziativa sono rimasti coinvolti anche i produttori. «I vini che usiamo, così come il caffè, partecipano al nostro progetto per combattere l’Aids in Africa: il vino è prodotto da buona casa siciliana. Sulle bottiglie mettiamo un bollino, che paga il produttore, e che finanzia il nostro progetto».
Chiedo infine a Giuseppe se per caso hanno intenzione di aprire un’altra “Trattoria” come questa. «Più che farlo noi, ci farebbe davvero molto piacere se qualcun altro prendesse l’iniziativa. Già stanno iniziando a Milano, Firenze, Arezzo, Tivoli. Noi siamo pronti a dare tutta la nostra disponibilità per iniziare e per la formazione».
Si parla di (non) riaprire nuovi manicomi: forse è il caso di cominciare ad aprire nuove trattorie.