Investire in formazione per una riconversione produttiva
Le politiche del lavoro, prima o poi, costituiranno il banco di programma per saggiare il merito dei contenuti delle imminenti elezioni parlamentari. Mancanza di commesse e di liquidità, milioni di ore di cassa integrazione, licenziamenti e nuova indennità di disoccupazione sono il mantra che logora la vita reale di troppe persone. La vertenza della Fiat a Pomigliano d’Arco (Napoli) è uno dei luoghi emblematici in cui si consuma uno scontro non solo tra impresa e parte del sindacato ma, soprattutto, tra gli stessi rappresentanti dei lavoratori. Per questo motivo, a inizio dicembre l’osservatorio politico della parrocchia di san Felice in Pincis, al centro della città campana, ha promosso un incontro pubblico di dialogo a partire dal merito della vicenda. Non poteva essere un’esercitazione astratta: proprio quel giorno, 10 dicembre, 19 dipendenti entravano nella Fabbrica Italia Pomigliano della Fiat in forza di una sentenza del giudice per comportamento discriminatorio dell’azienda. A gennaio del 2013 si concluderà l’iter avviato dalla Fiat per il licenziamento di altri 19 lavoratori. La tensione resta sempre molto alta. Si comprende, perciò, il senso dell’appello finale lanciato dall’osservatorio politico alle segreterie di tutti i sindacati: «Non ci si salva da soli, […] le contraddizioni si superano restando insieme nessuno escluso». Occorre «rifiutare la cultura della solitudine competitiva» e occorre «non entrare nella spirale della logica della divisione e della ricerca del nemico».
Oltre al tentativo di dialogo su una piattaforma concreta di domande tra un rappresentante della Cisl e uno della Fiom Cgil, l’osservatorio politico, con la relazione dell’ingegner Ciro Lieto, che abbiamo intervistato, ha offerto una lettura attuale della situazione strategica dell’industria dell’auto. Si tratta di una prospettiva che non ha la pretesa di offrire una visione univoca della recente storia italiana, ma può rappresentare la base per un approfondimento aperto e quanto mai necessario. Ripartire da una nuova mobilità ecologica, concordata a livello europeo, ad esempio, vuol dire poter condividere una strategia di politica industriale.
Come ingegnere con curriculum internazionale, ha fatto l’esempio della California dove la diffusione delle vetture ibride è ormai capillare. Eppure un progetto di polo della mobilità sostenibile era già stato elaborato nel 2004 per l’immensa area di due milioni di metri quadrati dell’ex sito dell’Alfa Romeo ad Arese, in Lombardia. Come si spiega, invece, il lento e inesorabile smantellamento della produzione?
«È molto semplice: la Fiat non ci ha mai creduto. Il gruppo sembra avere serie difficoltà a lanciare e seguire l’innovazione. Abbiamo l’esempio del sistema di alimentazione di motori diesel (common rail) attualmente usato da quasi tutte le case automobilistiche, ma che è stato inventato dal Crf (centro ricerche della Fiat). Il brevetto era perciò di proprietà Fiat, ma non avendo la possibilità di svilupparlo lo ha venduto alla Bosch che, dopo qualche anno, lo ha distribuito, con ingenti introiti, ai diversi produttori di auto. Per quanto riguarda il sito di Arese, l’Enea (cioè l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile) preparò un progetto per farne un centro di eccellenza per la mobilità sostenibile. Esisteva il coinvolgimento di Regione, Arpa e Consiglio nazionale delle ricerche, ma ha vinto l’inerzia. Alla fine l’ente locale, dopo aver ipotizzato di utilizzare il sito come possibile area di sviluppo residenziale, ha anche immaginato di trasferirvi la “Chinatown” milanese da via Paolo Sarpi. Ancora una volta la lentezza della nostra burocrazia è riuscita a mortificare quello che in partenza era un progetto valido. Attualmente una parte del sito è diventata un Golf club, il resto è in stato di abbandono».
Dove si dovrebbe puntare per evitare la desertificazione sociale ed economica del territorio?
«Il caso Elasis è un altro esempio dello sperpero di risorse economiche e umane perpetrato da Fiat. Elasis è un centro all’avanguardia per le attrezzature installate ed ha rapporti costanti con l’università di Napoli. A mio avviso il centro di ricerca e sviluppo avrebbe potuto raggiungere maggiori livelli di eccellenza se si fossero concentrate energie per la crescita di know how innovativo. Nel tempo invece, Elasis è stata usata come un reparto di progettazione e sperimentazione, simile a quelli presenti già a Mirafiori e ad Arese. Oggi tutti i dipendenti (800 tra ingegneri, tecnici e operai) sono stati assorbiti dalle società Fiat (Fiat Group Automobiles, Fiat Powertrain Technologies ecc.). Una speranza per il centro e per lo stabilimento annesso potrebbe essere la riconversione a centro integrato per lo studio e lo sviluppo della mobilità urbana alternativa».
Quanto pesa su Pomigliano un pregiudizio sul Meridione che non sarebbe adatto a sviluppare un lavoro tecnico di qualità?
«Purtroppo il preconcetto esiste. Io stesso ne sono stato testimone quando ho lasciato Napoli per fare nuove esperienze lavorative. Ma proprio perché è un giudizio preventivo, può essere confutato dai fatti. Viaggiando e lavorando, confrontandomi con altre realtà nazionali e internazionali, ho potuto appurare che la formazione ricevuta in un’università meridionale ha un notevole valore, ma ho anche potuto constatare che le nostre università mancano di attrezzature adeguate e moderne. Una volta finiti gli studi, quindi, ci troviamo a dover rincorrere gli altri per colmare un divario di qualche anno di sviluppo tecnologico. Fortunatamente le basi che ci vengono fornite sono estremamente solide e questo ci fa essere competitivi».