Invasione Ucraina: come il mondo dello sport sanziona la Russia

In seguito all’invasione dell’Ucraina, si moltiplicano costantemente le manifestazioni di aperto dissenso da parte di atleti e istituzioni  sportive nei confronti della guerra scatenata dalla Russia
Foto Tano Pecoraro/LaPresse

Crescono ora dopo ora, nel mondo dello sport, le manifestazioni e le prese di distanza nei confronti della guerra d’invasione scatenata dalla Russia nei confronti dell’Ucraina. Dopo la drammatica aggressione militare iniziata nei giorni scorsi e tutt’ora in corso, sono molteplici le istituzioni e gli atleti che, dal calcio al judo, dagli sport invernali al tennis, continuano a prendere posizione contro l’opzione armata ordita dal presidente russo Vladimir Putin. Innanzitutto proprio quest’ultimo, da sempre utilizzatore dello sport come strumento di propaganda, si è visto privare di una delle cariche di cui andava più fiero: la Federazione Internazionale di Judo, disciplina prediletta da Putin, lo ha infatti sospeso dalla presidenza onoraria, «alla luce del conflitto in corso in Ucraina». Ma vengono soprattutto dal mondo del calcio le scelte mediaticamente più rilevanti.

Vladimir Putin (Mikhail Klimentyev, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Si è abbattuta subito ad esempio sulla sua maestosa città d’origine, San Pietroburgo, la presa di posizione dell’UEFA, il principale organismo europeo del pallone: l’attesissima finale di Champions League, prevista il 28 maggio prossimo proprio nella città natia di Putin, si terrà invece al Parco dei Principi di Parigi. Sul piano internazionale, alla decisione hanno fatto seguito le importanti prese di posizione delle nazionali di calcio di Polonia, Svezia e Repubblica Ceca, che hanno comunicato il rifiuto di scendere in campo contro i russi: la prima avrebbe dovuto disputare la semifinale del 24 marzo alla Vtb Arena di Mosca, in contemporanea con Svezia-Repubblica Ceca a Solna, e sempre a Mosca la successiva finale-spareggio per accedere ai Mondiali di calcio in Qatar di fine anno.

Al momento però, la massima organizzazione calcistica internazionale, la FIFA, ha preso una posizione interlocutoria: nessuna competizione internazionale potrà essere giocata in territorio russo, con le partite “casalinghe” che saranno disputate in campo neutro e senza spettatori; inoltre, la Russia non potrà partecipare con il suo nome, ma sotto la denominazione Football Union of Russia (RFU). Nessuna bandiera o inno della Russia verrà utilizzato nelle partite a cui partecipano squadre della Federcalcio russa. Queste, all’unanimità, «le prime misure immediate» in merito al conflitto in Ucraina dell’Ufficio di presidenza del Consiglio Fifa, «in linea con le raccomandazioni del Comitato Olimpico Internazionale». Inaccettabili comunque, ancora, per la Polonia e non solo: la Francia si è detta pronta a chiedere alla FIFA di escludere direttamente la Russia dai Mondiali.

Sinisa Mihajlovic

«L’unico colore della guerra, è il sangue di innocenti»
Tra le dichiarazioni, particolarmente significative quelle di Sinisa Mihajlovic, allenatore serbo del Bologna, che una feroce guerra la visse sulla propria pelle durante il conflitto in ex jugoslavia di vent’anni fa: «L’unico colore che c’è in guerra è quello del sangue: questi sono veramente i problemi. Quando c’era la guerra nel mio paese volevo che gli allenamenti e le partite durassero 24 ore al giorno perché solo in quei momenti ero felice e non pensavo ai bombardamenti. Dopo era un casino… Spero non succeda che da notizia in primo piano non venga dimenticata dopo un mese: tutti dobbiamo dare un contributo e ragionare per fare di tutto affinché finisca prima possibili. E’ una cosa più grande di tutti noi ma non si risolve nulla, con la guerra».

Intanto, la Federcalcio italiana ha fatto partire nel finesettimana trascorso tutte le gare con 5 minuti di ritardo per solidarietà all’Ucraina. Nella Serie C il Potenza, nella persona del presidente Salvatore Caiata, ha deciso intanto di devolvere l’intero incasso della partita contro la Paganese alle popolazioni ucraine colpite dalla guerra. Con il ricavato, saranno acquistati beni di prima necessità da consegnare alle tante persone che in questo momento stanno vivendo una situazione drammatica.

Da approfondire, invece, la scelta del proprietario del Chelsea, Roman Abramovich, magnate russo che qualche giorno fa, accerchiato dalla pressione della Federcalcio inglese, ha annunciato la decisione di lasciare la guida del club agli amministratori della Fondazione di beneficenza, che fa capo alla figlia, la quale ha dichiarato apertamente: «la bugia più grande e di maggior successo della propaganda del Cremlino è che la maggior parte dei russi stia dalla parte di Putin».

Roman Abramovich

Il presidente della Federnuoto, Paolo Barelli, ha invece incontrato Yaroslav Melnyk, Ambasciatore d’Ucraina a Roma, per «ospitare al centro federale di Ostia i nuotatori ucraini che a causa della guerra sono impossibilitati a proseguire le attività di preparazione in vista degli impegni internazionali”. Anche la Formula 1 motiva ufficialmente la scelta di annullare il GP di Russia, che si sarebbe dovuto correre a Sochi il prossimo 25 settembre: «Il campionato mondiale di F1 fa tappa in tutto il mondo con l’obiettivo di unire i popoli. Stiamo assistendo a sviluppi in Ucraina con profonda tristezza e sincero shock, ci auguriamo una rapida e pacifica svolta. A tutti i partecipanti è apparso chiaro che in queste circostanze è impossibile disputare il Gran Premio di Russia».

Tralasciando comunque tanti altri meritevoli gesti, fa riflettere la testimonianza dell’allenatore italiano Roberto De Zerbi, alla guida di una delle più prestigiose squadre ucraine, lo Shaktar Donetsk, ancora a Kiev e visibilmente scosso: «Ci dicono che agli stranieri non accadrà nulla. Siamo rimasti solo noi in hotel, io e i miei calciatori brasiliani: non c’è nessuno del club. Abbiamo paura. Ma non possiamo permetterci di mettere la paura davanti alla vita. Sono molto preoccupato dei miei calciatori ucraini. Qualcuno è da solo, qualcuno può essere chiamato alle armi: anche i ragazzi di 18-20 anni. Noi torneremo nel nostro Paese, ma loro resteranno in mezzo ai guai». Parole per ricordare ancora a tutti come, qualora non fosse ancora chiaro, nessuna guerra inventata è “giusta”.

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