Intorno agli attacchi su e da Gaza
Come sempre quando si parla qui da noi del conflitto Israele-Palestina è per molti difficile capirci qualcosa. E questa difficoltà non riguarda solo generici e distratti cittadini, europei e italiani in particolare, ma spesso anche coloro che per una scelta di pace cercano onestamente di informarsi e ce la mettono tutta per non schierarsi e per comprendere le ragioni dell’altro. Ma è difficile farsi un’opinione quando l’informazione sembra mettercela tutta per non fornire elementi di lettura e facilitarne una preconfezionata. D’altro canto la complessità è tale che poche righe o pochi minuti di tg non consentono certo di entrare nelle questioni.
Stiamo inoltre parlando di un conflitto che va avanti da suppergiù 90 anni senza soluzione di continuità. I primi scontri armati fra arabi e coloni ebrei nella Palestina sotto mandato britannico si possono infatti considerare quelli della rivolta araba del 1936, ben prima della fondazione dello Stato di Israele nel 1948 e della successiva Nakba palestinese.
In estrema sintesi, per tornare ai giorni scorsi, gli attacchi aerei israeliani a Gaza sono iniziati nella notte tra lunedì 8 e martedì 9 maggio prendendo specificatamente di mira alcuni dirigenti della Jihad islamica palestinese: in particolare è stato “eliminato” Ali Ghali (ed altri 2 suoi collaboratori), comandante della “Forza di lancio” dei razzi che vengono sparati dalla Striscia di Gaza contro i villaggi e le cittadine ebraiche dei dintorni. Molti di questi ordigni vengono intercettati dalla difesa israeliana Iron Dome (anche il 90%) ed alcuni cadono prima di raggiungere il territorio “nemico”. Gli effetti voluti e quelli collaterali sono comunque gli stessi: morte e distruzione. E se questo riguarda i modesti razzi palestinesi, vale in proporzione (maggiore) anche per i “missili intelligenti” lanciati dagli aerei israeliani.
A parte altre legittime e numerose considerazioni, cosa e chi c’è dietro a missili ed armi utilizzate nell’ultimo periodo da vari gruppi armati palestinesi e più in generale da molti altri gruppi fondamentalisti islamici mediorientali? Secondo l’intelligence e per molti cittadini israeliani, non solo ebrei ma anche arabi, dietro c’è il regime iraniano.
Naveh Dromi, analista israeliana ha scritto (YnetNews del 10 maggio, ripreso in italiano da Israele.net): «Nonostante gli oltre 100 razzi lanciati contro Israele la scorsa settimana e ben tre coppie di fratelli assassinati a sangue freddo dai terroristi nell’ultimo mese e mezzo, i titoli dei mass-media [occidentali, ndr] dimenticano spesso e volentieri questi fatti, e il fatto che tutti questi spargimenti di sangue fanno parte chiaramente dell’accerchiamento terroristico alimentato dall’Iran e che incombe su Israele».
Bassem Eid, attivista dei diritti e analista, arabo israeliano di Gerico (Times of Israel del 13 maggio), denuncia senza mezzi termini: «Ciò che sta accadendo in Medio Oriente è molto semplice. Il regime teocratico degli ayatollah iraniani, non contento di annullare la dignità delle donne e impiccare giovani manifestanti al suo interno, cerca di imporre la sua visione apocalittica medievale all’intera regione».
Un articolo particolareggiato è stato pubblicato sul Jerusalem Post (9 maggio) da Seth J. Frantzman, sulla situazione che avrebbe provocato l’operazione “Scudo e Freccia” (Shield and Arrow) lanciata dall’aviazione di Israele contro i vertici della Jihad Islamica palestinese, a Gaza. Frantzman parla di un progetto iraniano denominato “Unità dei fronti”, che comporta una recente, più intensa, fase di sostegno e di forniture di armi alla Jihad Islamica, ma anche ad Hamas, agli Houthi dello Yemen, a svariati gruppi in Siria e in Iraq, e ad Hezbollah in Libano.
Tutto questo è quindi parte integrante della guerra di tutti contro tutti. Insomma, anche il quasi secolare conflitto israelo-palestinese (sorto in altri tempi e contesti) è ormai diventato un particolare di una planetaria “Guerra Mondiale combattuta a pezzi”, come l’ha definita papa Francesco. E nella logica di una guerra dove non sono più consentiti, come una volta si pensava, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.
«Quando impareremo dalla storia che le vie della violenza, dell’oppressione e dell’ambizione sfrenata di conquistare terre non giovano al bene comune? Quando impareremo che investire nel benessere delle persone è sempre meglio che spendere risorse nella costruzione di armi letali? Quando impareremo che le questioni sociali, economiche e di sicurezza sono tutte collegate? Quando impareremo che siamo un’unica famiglia umana, che può veramente prosperare solo quando tutti i suoi membri sono rispettati, curati e capaci di offrire il proprio contributo in maniera originale?». Se l’è chiesto e l’ha chiesto sabato 13 maggio papa Francesco prima di incontrare in Vaticano il presidente ucraino Zelens’kyj.
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