Intorno agli attacchi su e da Gaza

Il riaccendersi e l’intensificarsi degli attacchi contro Israele con razzi lanciati da Gaza (ma non solo da Gaza) sarebbe alla base dell’ennesima violenta reazione israeliana. Alcune considerazioni che non hanno pretesa di cronaca, ma che cercano di comprendere come si sta forse evolvendo il conflitto israelo-palestinese
Attacchi Gaza
Razzi lanciati dalla Striscia di Gaza verso Israele, a Gaza, mercoledì 10 maggio 2023. (AP Photo/Fatima Shbair)

Come sempre quando si parla qui da noi del conflitto Israele-Palestina è per molti difficile capirci qualcosa. E questa difficoltà non riguarda solo generici e distratti cittadini, europei e italiani in particolare, ma spesso anche coloro che per una scelta di pace cercano onestamente di informarsi e ce la mettono tutta per non schierarsi e per comprendere le ragioni dell’altro. Ma è difficile farsi un’opinione quando l’informazione sembra mettercela tutta per non fornire elementi di lettura e facilitarne una preconfezionata. D’altro canto la complessità è tale che poche righe o pochi minuti di tg non consentono certo di entrare nelle questioni.

Stiamo inoltre parlando di un conflitto che va avanti da suppergiù 90 anni senza soluzione di continuità. I primi scontri armati fra arabi e coloni ebrei nella Palestina sotto mandato britannico si possono infatti considerare quelli della rivolta araba del 1936, ben prima della fondazione dello Stato di Israele nel 1948 e della successiva Nakba palestinese.

In estrema sintesi, per tornare ai giorni scorsi, gli attacchi aerei israeliani a Gaza sono iniziati nella notte tra lunedì 8 e martedì 9 maggio prendendo specificatamente di mira alcuni dirigenti della Jihad islamica palestinese: in particolare è stato “eliminato” Ali Ghali (ed altri 2 suoi collaboratori), comandante della “Forza di lancio” dei razzi che vengono sparati dalla Striscia di Gaza contro i villaggi e le cittadine ebraiche dei dintorni. Molti di questi ordigni vengono intercettati dalla difesa israeliana Iron Dome (anche il 90%) ed alcuni cadono prima di raggiungere il territorio “nemico”. Gli effetti voluti e quelli collaterali sono comunque gli stessi: morte e distruzione. E se questo riguarda i modesti razzi palestinesi, vale in proporzione (maggiore) anche per i “missili intelligenti” lanciati dagli aerei israeliani.

A parte altre legittime e numerose considerazioni, cosa e chi c’è dietro a missili ed armi utilizzate nell’ultimo periodo da vari gruppi armati palestinesi e più in generale da molti altri gruppi fondamentalisti islamici mediorientali? Secondo l’intelligence e per molti cittadini israeliani, non solo ebrei ma anche arabi, dietro c’è il regime iraniano.

Naveh Dromi, analista israeliana ha scritto (YnetNews del 10 maggio, ripreso in italiano da Israele.net): «Nonostante gli oltre 100 razzi lanciati contro Israele la scorsa settimana e ben tre coppie di fratelli assassinati a sangue freddo dai terroristi nell’ultimo mese e mezzo, i titoli dei mass-media [occidentali, ndr] dimenticano spesso e volentieri questi fatti, e il fatto che tutti questi spargimenti di sangue fanno parte chiaramente dell’accerchiamento terroristico alimentato dall’Iran e che incombe su Israele».

Bassem Eid, attivista dei diritti e analista, arabo israeliano di Gerico (Times of Israel del 13 maggio), denuncia senza mezzi termini: «Ciò che sta accadendo in Medio Oriente è molto semplice. Il regime teocratico degli ayatollah iraniani, non contento di annullare la dignità delle donne e impiccare giovani manifestanti al suo interno, cerca di imporre la sua visione apocalittica medievale all’intera regione».

Un articolo particolareggiato è stato pubblicato sul Jerusalem Post (9 maggio) da Seth J. Frantzman, sulla situazione che avrebbe provocato l’operazione “Scudo e Freccia” (Shield and Arrow) lanciata dall’aviazione di Israele contro i vertici della Jihad Islamica palestinese, a Gaza. Frantzman parla di un progetto iraniano denominato “Unità dei fronti”, che comporta una recente, più intensa, fase di sostegno e di forniture di armi alla Jihad Islamica, ma anche ad Hamas, agli Houthi dello Yemen, a svariati gruppi in Siria e in Iraq, e ad Hezbollah in Libano.

Tutto questo è quindi parte integrante della guerra di tutti contro tutti. Insomma, anche il quasi secolare conflitto israelo-palestinese (sorto in altri tempi e contesti) è ormai diventato un particolare di una planetaria “Guerra Mondiale combattuta a pezzi”, come l’ha definita papa Francesco. E nella logica di una guerra dove non sono più consentiti, come una volta si pensava, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.

«Quando impareremo dalla storia che le vie della violenza, dell’oppressione e dell’ambizione sfrenata di conquistare terre non giovano al bene comune? Quando impareremo che investire nel benessere delle persone è sempre meglio che spendere risorse nella costruzione di armi letali? Quando impareremo che le questioni sociali, economiche e di sicurezza sono tutte collegate? Quando impareremo che siamo un’unica famiglia umana, che può veramente prosperare solo quando tutti i suoi membri sono rispettati, curati e capaci di offrire il proprio contributo in maniera originale?». Se l’è chiesto e l’ha chiesto sabato 13 maggio papa Francesco prima di incontrare in Vaticano il presidente ucraino Zelens’kyj.

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