Intolleranza religiosa in India, picchiati suore e preti
Ha senza dubbio fatto scalpore l’intervento del presidente Obama, che nel corso del National Prayer Breakfast (la Colazione per la preghiera nazionale) ha ripreso in maniera chiara e diretta la sua critica alla mancanza di libertà religiosa. Obama si è riferito all’India, ma non solo. Ha, infatti, affermato che negli ultimi anni persone di diverse fedi sono state "prese di mira da gente di altre tradizioni religiose semplicemente per la loro fede ed il loro credo”. Il presidente americano ha sottolineato che lo stesso Gandhi sarebbe ‘rimasto choccato a vedere tali atti di intolleranza”.
Obama era intervenuto sulla questione, anche se in maniera soft, nel corso del suo recente viaggio in India. Nel corso di un discorso pronunciato a New Delhi il 27 gennaio aveva, infatti, affermato che “l’India avrà successo nei suoi sforzi" se "riuscirà a non sbriciolarsi secondo le linee delle fedi religiose”. Gandhi è rimasto al centro dell’interesse dalla Casa Bianca, come dimostra l’affermazione di un funzionario americano: “Gandhi è tuttora l’esempio a cui gli Usa si riferiscono nel trattare problemi di intolleranza all’interno del Paese e all’estero”.
È bene sottolineare che Obama ha riconosciuto gli errori del cristianesimo in quanto a intolleranza, usando parole che non lasciavano dubbio sulla vergogna di avere vissuto momenti come le crociate e l’Inquisizione. La critica del presidente era evidentemente rivolta al Primo Ministro Narendra Modi che fino ad oggi non ha preso le distanze dalla crescente violenza che si sta manifestando nelle città e nei villaggi indiani contro le minoranze religiose. Una tale posizione, mette in evidenza un editoriale del The Hindu, potrebbe dare l’impressione che Modi stesso non desidera o non riesce a controllare le fasce di indù estremisti e fondamentalisti.
In effetti, in India cresce in modo preoccupante la tensione fra la comunità cristiana e i fondamentalisti indù. Da tempo chiese cristiane (di varie denominazioni e, in particolare, i luoghi di culto evangelicali e pentecostali) sono oggetto di violenza e saccheggio da parte di gruppi di persone che simpatizzano o fanno parte delle diverse organizzazioni fondamentaliste indù che crescono in varie parti del Paese asiatico, noto per secoli per la sua tolleranza e la sua laicità, intesa come uguale rispetto da parte delle amministrazioni verso i credenti di qualsiasi religione.
Negli ultimi giorni una folla di cristiani che si era radunata a Delhi per dimostrare contro questi atti di violenza è stata malmenata dalla polizia e molti, anche sacerdoti e suore, sono stati arrestati, con il pretesto che la manifestazione non era stata autorizzata ed era, quindi, illegale. Il gruppo di cristiani (soprattutto cattolici, ma non solo) si era radunato nei pressi della cattedrale di Delhi nella centralissima Goldakhana.
I manifestanti marciavano in silenzio per dimostrare contro i recenti numerosi attacchi a cristiani e ai loro luoghi di culto. L’intervento della polizia, del tutto ingiustificato, visto il tipo di persone che si erano radunate per il corteo ed il suo procedere assolutamente pacifico, è stato bollato dal card. Gracias, arcivescovo di Mumbai, già presidente della Conferenza Episcopale indiana (CBCI) ed attuale responsabile della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche (FABC) come "una macchia vergognosa per l'India laica e democratica".
Il cardinale ha tenuto a sottolineare che le maniere brutali non hanno risparmiato "le nostre religiose, donne che hanno consacrato la loro vita a Dio, trascinate via come criminali. Nemmeno i bambini sono stati risparmiati". "I cristiani – ha ricordato il card. Gracias – costituiscono meno del 2 per cento della popolazione indiana, e nella stessa Delhi il loro numero supera di poco le 100mila persone [su 25 milioni di residenti]. È una comunità pacifica e rispettosa della legge, e i nostri istituti educativi e sanitari sono al servizio della nazione. Eppure, in risposta alle decine e decine di anni dedicate alla costruzione di questo Paese, le nostre suore, i nostri sacerdoti e la nostra gente sono trattati come criminali. Questa è una vergogna, una disgrazia e una macchia per la nostra madrepatria".
Il Card. Gracias non è stata l’unica autorità cattolica ad intervenire duramente sulla questione degli incidenti. Anche Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), interpellato da AsiaNews, ha condannato "l'azione repressiva condotta dalla polizia". Quanto accaduto oggi "è segno che le atrocità contro la minuscola comunità cristiana continuano a inasprirsi, mentre le autorità restano in silenzio dinanzi alla crescente intolleranza".
L’obiettivo dei manifestanti era quello di marciare verso la residenza del ministro degli Interni, Rajnath Singh, non lontana dalla cattedrale in una zona dove ci sono scuole prestigiose tenute dalla Chiesa cattolica, frequentate da stragrande maggioranza di studenti di religioni diverse: indù, sikhs, gianisti e musulmani.
I rapporti fra le comunità cristiane ed i fondamentalisti indù nel Paese asiatico si stanno deteriorando anche a causa del processo di riconversione alle religioni del sanatana dharma (conosciuto come induismo) di interi gruppi che si erano convertiti al cristianesimo. Il processo chiamato Ghar Vapsi (ritorno a casa) è organizzato ed animato da attivisti di vari gruppi, in particolare del Vishwa Hindu Parishat (VHP), protagonisti recentemente di vari episodi di questo tipo.
L’ultimo, che ha fatto scalpore, è stato quello che ha visto quasi 500 persone rinunciare alla fede cristiana e far ritorno alle credenze originarie. A fronte di questi episodi di ghar vapsi sta anche la giustificazione da parte delle organizzazioni indù della loro attività di riconversione fondata sul dubbio che si sia trattato di vere conversioni e che i missionari (spesso appartenenti a chiese evangelicali o pentecostali) abbiano fatto uso di incentivi: cibo, donazioni varie, lavoro, assistenza medica e scolastica.