Intishar, la diaspora libanese

La diaspora libanese è in continuo aumento. Sono soprattutto i giovani e i professionisti quelli che partono da un Libano sempre più bloccato in una crisi senza prospettive, che non è soltanto economica e sociale, ma prima di tutto politica.

Una delle più accreditate agenzie indipendenti di ricerca e consulenza di Beirut, con rappresentanze in diverse capitali del Medio Oriente, si chiama Information International, ed è stata fondata nel 1995 da Jawad Adra insieme alla moglie Zeina Akar.

Jeanine Jalkh, una nota giornalista libanese, definisce Adra un “un uomo d’affari e un laico incallito, certamente filosiriano, ma che è riuscito a farsi amicizie nei più vari circoli politici, di tutte le comunità e le tendenze possibili”. Adra è un libanese di antica ricchezza e di vasta cultura, e l’agenzia che ha fondato pubblica fra l’altro anche un interessante magazine, The monthly, che racconta molti “numeri” del Libano, che vanno per esempio da quanto costa oggi un caffè a quanti sono stati i libanesi emigrati quest’anno.

Mi ha colpito molto quest’ultimo dato: nei primi 11 mesi del 2021 sono stati 77.777 i libanesi che hanno lasciato il loro Paese per emigrare altrove. Si tratta di un numero in crescita rispetto agli anni precedenti e comprende cittadini di tutte le confessioni religiose (sono 18 quelle riconosciute dallo Stato). Per un confronto, basta dire che nei tre anni già critici fra il 2018 e il 2020 ne sono partiti circa 200 mila. E stiamo parlando di un Paese con poco più di 4 milioni di cittadini (senza tenere quindi conto dei quasi 2 milioni di profughi: siriani, palestinesi, iracheni ed altri presenti nel Paese).

Un tasso di emigrazione che negli ultimi anni è stato in media di 9,5 persone ogni mille abitanti. Si tratta soprattutto di un “esodo di giovani e di tanti libanesi professionalmente qualificati, medici, professori, insegnanti, imprenditori”, ha detto a fine agosto scorso il cardinale Boutros Rai, patriarca dei maroniti. Non si fa fatica a capire: un giovane o una persona qualificata (e il Libano per molti anni ha avuto la più alta percentuale del Medio Oriente di giovani formati in ottime scuole) che non ha, o non ha più, un lavoro, o che percepisce uno stipendio mensile in lire libanesi che si aggira al cambio fra 30 e 80 dollari, cerca di andare dove il suo lavoro è apprezzato, ben retribuito e gli permette di mettere su famiglia o mantenerla. Tanto più che i libanesi non fanno fatica con le lingue, anzi nel quotidiano spesso ne parlano due o tre (anche contemporaneamente!).

E dove vanno tutte queste persone che emigrano? Intanto la diaspora libanese non è nata ieri (ha più di un secolo) e di parenti in giro per il mondo tutte le famiglie ne hanno, tanto che chi resta, spesso si mantiene grazie alle rimesse di chi è partito. Tradizionalmente gli insediamenti più consistenti dell’Intishar al lubnani (letteralmente: l’espansione libanese) si trovano nelle Americhe: Brasile, Usa, Argentina, Colombia, Caraibi, Venezuela, Ecuador, Messico, Canada, dove vivono, compresi figli e nipoti, circa 12 milioni di persone di origine libanese. Ma in tempi più recenti anche l’Africa occidentale è divenuta meta della diaspora, soprattutto la Costa d’Avorio e la Guinea, ultimamente anche il Ghana. E poi ovunque in Europa, soprattutto in Svezia, Francia, Germania e Regno Unito. Anche in Australia. Nel Golfo Persico e in Arabia saudita pure, ma per lo più solo per lavoro, spesso senza portarsi la famiglia. Complessivamente, la stima è che si tratti di circa 14 milioni di persone, considerando le prime tre generazioni di migranti. C’è più di 3,5 volte il Libano in giro per il mondo.

Con l’inizio dell’attuale crisi, da ottobre 2019, si è verificato un fenomeno migratorio nuovo: negli ultimi 2 anni circa 160 mila libanesi della classe media sono emigrati in Turchia (tra loro molti musulmani sunniti di età compresa tra i 20 e i 40 anni), in Georgia e Armenia, Paesi considerati di passaggio per arrivare poi in Europa occidentale. Dato il numero di richieste di rinnovo passaporti (più 150% negli ultimi 6 mesi), alcuni analisti sono convinti che nel 2022 i libanesi che lasceranno il loro Paese potrebbero raddoppiare rispetto al 2021.

Le cose che spingono a partire sono soprattutto la situazione economica molto grave e la mancanza di prospettive: per quanto riguarda la moneta libanese dal 2019 ad oggi ha perso circa il 90% del suo valore rispetto al dollaro, mancano energia elettrica e medicine, e i carburanti sono carissimi (rispetto al potere d’acquisto, non in assoluto): la benzina è aumentata in un anno del 600% in moneta locale, pur costando molto meno di 1 dollaro al litro. Solo che di dollari nelle tasche della maggior parte delle persone non ce ne sono e quelli che erano stati depositati in banca non sono disponibili perchè bloccati.

Così come sono bloccati gli aiuti finanziari internazionali – e questo riguarda le prospettive – promessi da Fmi e vari Paesi dopo l’orribile e inquietante esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020, perchè giustamente vincolati a riforme che il governo libanese non è in grado di attuare, anzi per ora non sembra neppure in grado di riunirsi, men che meno di governare.

C’è però una cosa positiva che va assolutamente detta, anzi è forse la cosa più importante, secondo me: la cosa positiva sono i libanesi e la loro incredibile resilienza. Non si arrendono, magari possono arrabbiarsi, ma resistono. Partono e ricominciano, attingendo a radici di millenario orgoglio e ad una capacità unica di inserimento fra i più diversi popoli e culture.

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