“Tutto è intimo” di Giovanni Casoli
Pur essendo distribuita in vari volumi, l’opera letteraria di Giovanni Casoli forma un tutt’uno in cui i discorsi si dispiegano, si confermano, si sviluppano in nuove fioriture. Non stupisce, quindi, che il suo ultimo libro di poesie sia radicato e a suo modo preannunciato nel precedente Sul fondamento poetico del mondo (L’ora d’oro, 2010), in cui si legge: «Fra le carte di Hölderlin è stato trovato un appunto brevissimo, forse l’inizio folgorato di un’ispirazione poi non sviluppata. Ma quando l’ho letto – sono tre parole: un soggetto, un verbo, un predicato – ho pensato che bastava da solo a giustificare tutta una vita di poeta»; la bellezza, aggiungeva lo scrittore romano, «è quel legame tra le cose per cui tutto è intimo, è quella stranita dolcezza che fa soave anche un dolore, e molto più, quel tuffo al cuore che la trasforma poi in conoscenza». L’ispirazione di Hölderlin, ora, l’ha colta e sviluppata Casoli stesso, in un libro che reca come titolo le tre parole di cui sopra: Tutto è intimo (La Ghiringhella, 2017).
Fin dal titolo, il volume coniuga un’attenzione per l’universale (tutto) con un’attenzione per il profondamente personale, particolare, interiore (intimo): una tensione centrifuga, divergente, ricondotta a una tensione centripeta, convergente. Il filo d’erba (spunto nella silloge per il dialogo tra un credente e un ateo) e l’universo intero raccolti in un punto: tutto è intimo, uni-verso nel senso etimologico. Un titolo che pare riecheggiare la nota terzina del canto conclusivo della Commedia: «Nel suo profondo vidi che s’interna, /legato con amore in un volume, /ciò che per l’universo si squaderna».
Il fuori e il dentro, il grande e il piccolo, il sublime e l’infimo: su ossimori e paradossi – apparenti e reali, ma sempre rivelatori, mai banali – si fonda gran parte della poesia di Casoli, una voce che si potrebbe dire anticonformista e contestatrice rispetto a una certa modernità decadente e intrinsecamente in crisi, nella quale «ci vergogniamo /non di vergognarci /ma di non vergognarci». Una modernità che, nonostante le sue contraddizioni, va assunta, per percorrere fino in fondo l’abisso, e per “salvarla”.
«Il Circo Italia ha piazzato le tende
nel nostro spazio, non si sa da quando.
Non credo, però, che acquisterò il biglietto
per lo spettacolo, né da solo né
con amici: mi dà tristezza
l’acrobazia, non sopporto il ruggito dei leoni,
il luccichio, la malinconia della gioia.
Scusatemi, è intimo, è imbarazzante,
come se lì fossi io».
In fondo la poesia non bisognerebbe leggerla soltanto: bisognerebbe sentirla pronunciata dalla bocca dell’autore; anche perché l’intimità non tenda all’inaccessibile o all’intelligibile. O semmai, a scanso di fraintendimenti, bisognerebbe leggerla “insieme all’autore”, “con lui presente”, per cogliere le sfumature, le allusioni, le intenzioni. La poesia di Giovanni Casoli – che esige una dedizione non comune – non è per lettori sprovveduti e risulta anzi ardua pure per chi pensa d’essere avvezzo a leggere versi.
«Alberi, cieli, esitazioni
dell’aria, dolori non veduti,
rapidi, inconsapevoli sorrisi,
già li conosce, intima; per questo
non teme la solitudine, lei sola [la poesia],
dicendo ciò che altri non dicono,
tacendo le parole vili e vane:
è un dolore troppo inesorabile
e una letizia troppo inconsumabile».
Eppure chi lo accompagna nelle sue composizioni riesce a tratti a “sentire”, presente, l’autore, la cui arte apre squarci di luce e che come un profeta sovverte le convenzioni: «Noi possiamo conoscere solo grazie all’inconoscibile / vvero al mistero che ci fonda». E oltre: «il da farsi è ristabilire /rapporto e ordine, armonia a verità /tra dentro e fuori». E ancora: «Possedere è sostituirsi! Dunque usurpazione /del passato per arraffare il futuro, /non il presente, in cui l’amata /vive la sua vita non calpestata dalla tua».
Versi che alludono a una «libertà possibile /in cui niente vale perché tutto si compra /e ciò che non si compra non è disponibile»; in un mondo in cui «ciascuno teme la sua vera libertà».
Il dolore personale è una via di scampo dai propri «conti sbagliati», «l’unico positivo» anzi. Casoli soffre – perché la poesia «è la ferita» – per il dolore innocente, non da ultimo quello degli animali, creature esemplari, con la loro capacità di guardare il mondo con occhi nuovi, ancora capaci di stupore. «Enigma insolubile. Noi ci affacciamo /al giorno, ma dovremmo affacciarci /al primo giorno della creazione.»
«Non si può dare una definizione positiva – dire ciò che è – della poesia», si legge in Sul fondamento poetico del mondo: «Se fosse possibile definirla, dirne la formula (la piccola forma), non sarebbe essa, la poesia, la grande forma, grande più delle formule.» Lo stile di Casoli – parole solide impiegate nella loro massima potenza, affermazioni vigorose e perentorie, predicati assoluti e categorici (basta scorrere i primi versi della raccolta per cogliere l’importanza del verbo “essere”, teso a fornire l’essenza ontologica delle cose) – parrebbe a tratti contraddire quest’affermazione che non permettere di rinchiudere la poesia dentro una definizione.
Eppure qui le parole sono impiegate anche nella loro massima ampiezza semantica, aprono alla polisemia, nella valenza simbolica, e quindi poetica, mistica perfino, come in questa riflessione sulla Pietà Rondanini: «Mai è stato il non /fatto così presente, /mai la cronaca tanto /ha rivelato la storia».
Il motto di derivazione paolina per visibilia ad invisibilia trova concreta realizzazione nell’arte, fondata nel mondo (che a sua volta è fondato sulla poesia), un’arte che «non riproduce il visibile /ma rende l’invisibile visibile» (Paul Klee). Una poetica metafisica, ma anche concreta e pragmatica, come in questi versi dedicati a Ilde:
«Signora, il mondo va male,
si dice che da un momento all’altro
possa perdersi o continuare.
Conviene amarsi
nei momenti di attesa, in intervalli,
non solo, ma inventare il tempo,
o la bellezza è chiusa tra pareti
che la proteggono, non sua dimora;
lasciamo che il vento la spezzi
come un ramo perché fiorisca ancora.»
La poesia, in conclusione, suggerisce, stimola, e questi miei balbettii critici rispecchiano almeno un’eco di ciò che i versi di Casoli hanno suscitato in me. E per questo lo ringrazio.