Intimità di Aida

All’Opera di Roma la scenografia essenziale, l’incanto e il placido mormorio degli accordi per una storia sempre attuale di amori perduti e ritrovati
Aida al teatro dell'Opera

Dimenticare scene di trionfi, balletti di mori, eccetera. L’Aida data al Teatro dell’Opera di Roma con la regia e la coreografia di Micha van Hoecke è spettacolo di misurata grandezza e di lirica intensità.

Certo, le scene corali ci sono – la “consacrazione nel tempio di Vulcano” nel primo atto –, ma il Trionfo del secondo atto è risolto con un’invenzione originalissima di un danzatore-derviscio che esegue un ballo rotante mentre il coro canta “Gloria all’Egitto”: soluzione fascinosa.

Ma la scenografia essenziale, si direbbe in alcuni momenti dechirichiana, le luci ora flebili ora accese sui personaggi, il clima glabro dell’insieme fanno sì che l’allestimento alluda più che descrivere, ci faccia intuire più che parlare. È bella quest’edizione romana e van Hoecke ha il pregio di una invenzione che rimanda ad echi misteriosi, perché misteriosa è Aida.

La storia in verità si riduce al contrasto amoroso tra l’ingenuo guerriero Radames, l’istintiva schiava Aida e la gelosa Amneris, la vera sconfitta, perché la gelosia paga sempre in dolore disperato, mentre gli amanti muoiono nella pace. Ma il mistero rimane nell’ascoltatore anche grazie alla strumentazione quasi cameristica di Verdi che preferisce affidarsi, come nel terzo atto, a mormorii fruscianti della notte – una notte molto padana di grilli che diventa universale – e alle morti nella tomba sotterranea sul filo etereo dei violini divisi. L’ultima parola è pace, e la pace rimane mistero.

Van Hoecke ha giocato su questo concetto, perciò non poteva allestire uno spettacolo troppo esibito ma andare, come ha fatto, con delicata cautela. Lo stesso ha tentato di fare il giovane direttore esordiente a Roma Jader Bignamini e lo si è visto in particolare nel finale dell’opera, dove i violini e poi tutta l’orchestra hanno suggellato tra loro estasi spirituale, incanto e placido mormorio dell’ultimo gravido accordo.

Bravi tutti gli interpreti, canto, coro, ballo. Ma soprattutto poetica la regia che ci ha restituito un’Aida come storia di sempre di amori perduti e ritrovati, di popoli e di singoli in quella che per lui, Verdi, all’epoca doveva essere l’ultima opera.

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