Interezza cristiana

Paolo VI il 18 agosto 1965 a Castelgandolfo traccia le novità che il Vaticano II ha già portato e può portare alla cristianità. Insiste sul rispettare il sacro e il laico senza confonderli e ribadisce l’indipendenza dei due ambiti. Il nostro articolo su Città Nuova di quell’anno
Concilio Vaticano II

Il Concilio vuol essere un restauratore della coscienza cristiana; anzi, nel suo sforzo di meglio comprendere il significato della vocazione di Cristo alla sua sequela, il Concilio approfondisce e sviluppa tale coscienza. Pensate a ciò che già esso ci ha insegnato sul popolo di Dio, sul sacerdozio di ogni battezzato, sulla partecipazione dei fedeli alla celebrazione liturgica, sul dovere di ogni fedele d'essere testimonio e apostolo del nome cristiano; sull'invito alla santità rivolto ad ogni credente; e pensate a ciò che ci insegnerà nella prossima sessione circa i rapporti della Chiesa col mondo e circa la missione dei laici all'apostolato, e cosí via, per comprendere come sia questa l'ora per restituire alla professione cristiana la sua autenticità, la sua integrità, la sua forza e la sua armonia con tutte le manifestazioni della vita.

E questo con arte nuova. Lo sviluppo della cultura moderna ha riconosciuto la legittima e doverosa distinzione dei vari campi dell'attività umana, tributando a ciascuno di essi una relativa autonomia, reclamata dai princìpi e dai fini costitutivi di ogni  singolo campo; cosí che ogni scienza, ogni professione, ogni arte ha una sua relativa indipendenza, che la separa dalla sfera propriamente religiosa, e le conferisce un certo “laicismo”, che, se bene inteso, il cristiano è il primo a rispettare, non volendo confondere, come si dice, il sacro col profano.

Ma dove questi singoli campi di attività si riferiscono all'uomo, considerato nella sua interezza, cioè in ordine al suo fine supremo, tutti possono e debbono onorare ed essere onorati dalla luce religiosa, che rischiara quel fine supremo e ne rende possibile il conseguimento.

Ecco che allora tutta la vita, anche se profana, purché onesta, può essere cristiana. Non ci insegna san Paolo a tutto riferire al Signore: «Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che altro facciate, fate ogni cosa alla gloria di Dio». E per nostra fortuna e nostra edificazione noi vediamo spesso anime desiderose di questa interezza spirituale, a cui la vocazione cristiana ci destina.

Un bisogno di assoluta sincerità, un'esigenza di logica vissuta, un coraggio sprezzante del rispetto umano, delle viltà convenzionali, dei ripieghi vili e indolenti, e un'indefinibile attrattiva interiore alla perfezione, all'autenticità cristiana spingono oggi anime giovanili ad una franchezza cristiana, ad una fedeltà cattolica, ad una originalità. spirituale, che lasciano chi le osserva stupiti e commossi. È il vento dello Spirito? Spiritus ubi vult spirat!

È uno dei “segni dei tempi”, che ci danno gaudio d'appartenere a questa nostra grande e travagliata età e ci infondono nuova speranza per l'avvenire.

(Città Nuova n.18/1965)

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