Integrare anche attraverso le religioni
Una conferenza nazionale voluta dal ministro dell’Interno e da quello della Cooperazione convoca i rappresentanti delle diversi espressioni religiose per studiare un modello italiano di convivenza
«Quando sbarcano disperati che arrivano con ogni mezzo, siamo di fronte a persone che hanno titolo a chiedere asilo. Occorrono accertamenti seri, rapidi, severi, in base alle norme comuni a livello europeo, certo, ma non c’è dubbio che bisogna dare lo status di rifugiati e il sostegno a chi ne ha diritto». Questo è quanto ha detto il presidente della Repubblica Napolitano a margine di un incontro avuto al Quirinale con il presidente della Repubblica di Malta, George Abela.
Grazie signor presidente! Grazie per aver voluto dare un contributo di civiltà in un contesto in cui spesso parlare di immigrati e di sbarchi provoca risentimenti e dichiarazioni infelici. Bene ha detto il presidente. Non possiamo rischiare di scivolare in un terrificante egoismo giacché, per buona parte, gli sventurati che si imbarcano a rischio della loro vita, su carrette del mare, sfuggono da guerre e persecuzioni e quindi hanno diritto ad essere accolti. Ed è bene che ci attrezziamo a saper usare i vocaboli giusti quando parliamo di migrazioni. Perché non è corretto non fare distinzioni tra migrazione economica, di chi cioè emigra per migliorare la propria esistenza e quella dei suoi familiari, e quelli che chiedono asilo politico.
Non è un caso che questo ragionamento il nostro presidente l’abbia sviluppato a margine dell’incontro con il suo omologo di Malta, proprio per evitare di «rimbalzare il problema, ma essendo solidali e fermi nel sollecitare una politica comune europea». Forse sarebbe bene iniziare anche fra di noi, nella società, un ragionamento serio, pacato e responsabile sul tema dell’asilo, ma anche dei migranti economici, per trovare insieme la strada dell’integrazione possibile, la strada di un modello italiano di integrazione.
Non ci mancano in questi giorni elementi di approfondimento. Le parole forti di Napolitano, ma anche l’iniziativa dell’altro giorno del ministro Andrea Riccardi che, in collaborazione con il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, ha voluto promuovere la prima conferenza nazionale su “Religione, cultura e integrazione”, si muovono in questa direzione. Un nuovo organismo consultivo che ha visto la partecipazione del segretario generale del Cici-Moschea di Roma, Abdellah Redouane, il presidente dell’Ucoi (Unione delle comunità islamiche d’Italia), Izzedin Elzir, il vicepresidente della Coreis (Comunità religiosa islamica), imam Yahya Pallavicini, il presidente dell’Unione induista italiana (Uii), Franco Di Maria, e il presidente delle Federazioni delle Chiese evangeliche, Massimo Aquilante. I cristiani ortodossi erano rappresentati dai patriarcati di Mosca, Costantinopoli e Serbia e dal vescovo della diocesi italiana della Chiesa ortodossa romena, monsignor Siluan Span. La Chiesa cattolica era rappresentata dal direttore dell’Ufficio per la conferenza episcopale italiana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, mons. Gino Battaglia, e il direttore della fondazione Migrantes, monsignor Giancarlo Perego.
Un’iniziativa che va segnalata per il suo forte significato: il ruolo delle religioni nel tema dell’integrazione. I rappresentanti di diverse comunità religiose presenti in Italia non sono omologabili, ma certamente sono portatori di una riflessione circa la necessità di effettuare, nel più breve tempo possibile, il passaggio delicato della piena integrazione. Ben vero, oggi in Italia già vivono due milioni e 900 mila immigrati cristiani (un milione e mezzo sono ortodossi); un milione e 300 mila musulmani; oltre 150 mila buddhisti, meno di 100 mila induisti e 60 mila sikh.
Interessante quindi l’incontro promosso dal ministro Riccardi, che assume una valenza forte che può e deve essere replicata nei territori come esperienza naturale di dialogo interculturale ma anche interreligioso. Personalmente mi persuade il fatto di aver individuato anche nelle religioni e nei loro leader mediatori e facilitatori di integrazione. L’appartenenza religiosa, infatti, è un elemento che deve tornare utile al processo di integrazione e a un’esperienza concreta di dialogo e convivenza.
I recenti e gravi episodi accaduti a Tolosa nei giorni scorsi, in cui un uomo ha sparato davanti a una scuola ebraica, sono un richiamo forte per i leader, oltre che un monito perché le religioni non possono non essere un valore aggiunto nella convivenza tra i popoli.
Grazie signor presidente! Grazie per aver voluto dare un contributo di civiltà in un contesto in cui spesso parlare di immigrati e di sbarchi provoca risentimenti e dichiarazioni infelici. Bene ha detto il presidente. Non possiamo rischiare di scivolare in un terrificante egoismo giacché, per buona parte, gli sventurati che si imbarcano a rischio della loro vita, su carrette del mare, sfuggono da guerre e persecuzioni e quindi hanno diritto ad essere accolti. Ed è bene che ci attrezziamo a saper usare i vocaboli giusti quando parliamo di migrazioni. Perché non è corretto non fare distinzioni tra migrazione economica, di chi cioè emigra per migliorare la propria esistenza e quella dei suoi familiari, e quelli che chiedono asilo politico.
Non è un caso che questo ragionamento il nostro presidente l’abbia sviluppato a margine dell’incontro con il suo omologo di Malta, proprio per evitare di «rimbalzare il problema, ma essendo solidali e fermi nel sollecitare una politica comune europea». Forse sarebbe bene iniziare anche fra di noi, nella società, un ragionamento serio, pacato e responsabile sul tema dell’asilo, ma anche dei migranti economici, per trovare insieme la strada dell’integrazione possibile, la strada di un modello italiano di integrazione.
Non ci mancano in questi giorni elementi di approfondimento. Le parole forti di Napolitano, ma anche l’iniziativa dell’altro giorno del ministro Andrea Riccardi che, in collaborazione con il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, ha voluto promuovere la prima conferenza nazionale su “Religione, cultura e integrazione”, si muovono in questa direzione. Un nuovo organismo consultivo che ha visto la partecipazione del segretario generale del Cici-Moschea di Roma, Abdellah Redouane, il presidente dell’Ucoi (Unione delle comunità islamiche d’Italia), Izzedin Elzir, il vicepresidente della Coreis (Comunità religiosa islamica), imam Yahya Pallavicini, il presidente dell’Unione induista italiana (Uii), Franco Di Maria, e il presidente delle Federazioni delle Chiese evangeliche, Massimo Aquilante. I cristiani ortodossi erano rappresentati dai patriarcati di Mosca, Costantinopoli e Serbia e dal vescovo della diocesi italiana della Chiesa ortodossa romena, monsignor Siluan Span. La Chiesa cattolica era rappresentata dal direttore dell’Ufficio per la conferenza episcopale italiana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, mons. Gino Battaglia, e il direttore della fondazione Migrantes, monsignor Giancarlo Perego.
Un’iniziativa che va segnalata per il suo forte significato: il ruolo delle religioni nel tema dell’integrazione. I rappresentanti di diverse comunità religiose presenti in Italia non sono omologabili, ma certamente sono portatori di una riflessione circa la necessità di effettuare, nel più breve tempo possibile, il passaggio delicato della piena integrazione. Ben vero, oggi in Italia già vivono due milioni e 900 mila immigrati cristiani (un milione e mezzo sono ortodossi); un milione e 300 mila musulmani; oltre 150 mila buddhisti, meno di 100 mila induisti e 60 mila sikh.
Interessante quindi l’incontro promosso dal ministro Riccardi, che assume una valenza forte che può e deve essere replicata nei territori come esperienza naturale di dialogo interculturale ma anche interreligioso. Personalmente mi persuade il fatto di aver individuato anche nelle religioni e nei loro leader mediatori e facilitatori di integrazione. L’appartenenza religiosa, infatti, è un elemento che deve tornare utile al processo di integrazione e a un’esperienza concreta di dialogo e convivenza.
I recenti e gravi episodi accaduti a Tolosa nei giorni scorsi, in cui un uomo ha sparato davanti a una scuola ebraica, sono un richiamo forte per i leader, oltre che un monito perché le religioni non possono non essere un valore aggiunto nella convivenza tra i popoli.