Insieme per un fine comune
«Ecco la cosa sorprendente: la voce di Cristo ripete anche a voi: “Che cosa cercate?”. Gesù vi parla oggi, mediante il Vangelo e lo Spirito Santo, Egli è vostro contemporaneo». Queste le parole di Benedetto XVI riportate sul sito del Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana, promotore dell’iniziativa appena conclusasi “Gesù nostro contemporaneo”, una tre giorni di incontri e relatori, sia cristiani che non, che hanno esaminato la profonda attualità della figura di Gesù nella società attuale.
Ieri sera, per portare la sua testimonianza è salito sul palco dell’Auditorium Conciliazione a Roma Majdi Dayyat, presidente del Centro Nostra Signora della Pace di Amman in Giordania e vicepresidente per gli affari amministrativi ed esecutivi del Patriarcato Latino. Questo centro, nato su iniziativa del Patriarcato nel 2002, si propone di offrire una serie di servizi per il sostegno e la riabilitazione delle persone con disabilità e le loro famiglie, musulmane e cristiane.
In Giordania le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che il 10% della popolazione è affetta da disabilità: sono 600 mila, per la maggior parte adolescenti e bambini. «Dobbiamo riuscire a vedere nell’altro sempre un essere umano – dichiara Dayyat –, e la nostra missione è avvicinarci senza discriminazione a coloro che hanno bisogno di noi».
Lo spirito del Centro è infatti lavorare insieme, cristiani e musulmani, per sensibilizzare la popolazione alle necessità delle persone disabili. Con questo obiettivo sono stati creati comitati locali che spesso «sottolineano l’importanza di non fare cenni alla religione perché le cause umanitarie non hanno differenze religiose».
Lavorare insieme per un fine comune, che rispecchia il lato misericordioso di quel Dio nel quale sia i cristiani che i musulmani credono, diventa la possibilità – come è riuscito sapientemente a spiegare il presidente del Centro Nostra Signora della Pace partendo dalla sua esperienza vissuta sul campo – di essere «il cristiano che vive la propria fede nella comunità e la vive accanto al musulmano, offrendo all’altro la possibilità di conoscermi bene e chiedendo anche a lui di vivere la sua fede di fronte a me. Con la mia fede – ha concluso – ho piantato il mio giardino, per permettere ai fiori nel giardino del mio vicino di crescere».