Insieme per l’Italia
Un incontro a Loppiano tra musulmani e cristiani al di là di pregiudizi ed incomprensioni. Intervista a Roberto Catalano, esperto di dialogo interreligioso.
«Attendevamo questo giorno da anni: un giorno in cui incontrarci, noi musulmani e cristiani in Italia, per costruire insieme il presente e il futuro del paese. L’Italia ha bisogno di una luce di speranza. Vogliamo contribuire ad alimentarla». Così Shahrzad Houshmand, teologa musulmana dell’Iran, ha aperto la giornata “Percorsi comuni per la fraternità – musulmani e cristiani insieme in Italia” che su iniziativa del Movimento dei Focolari, si è svolta nei giorni scorsi a Loppiano (Firenze).
Circa 600 i partecipanti delle due religioni venuti da tutta la penisola; numerosi i presidenti e i rappresentanti delle principali comunità islamiche d’Italia: Kamel Layachi, (comunità islamiche del Veneto), Izzidin Elzir (comunità islamica di Firenze), Khadija Dal Monte (vicepresidente Ucoii – comunità islamica di Reggio Emilia), Issam Moujahid (presidente del consiglio relazioni islamiche italiane), oltre agli Imam di Perugia, Massa Carrara, Trieste, Verona, Teramo, Venezia, Parma, Ravenna, Abruzzo. «Penso – ha scritto in un messaggio ai partecipanti mons. Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia e presidente della Commissione per il dialogo della Cei – che dobbiamo contrastare una idea falsa dell’esperienza religiosa che si sta facendo strada nella cultura dell’occidente, secondo la quale le fedi religiose sarebbero, per loro stessa natura, fomentatrici di divisioni, intolleranze e violenze». Ne parliamo con Roberto Catalano, corresponsabile del dialogo interreligioso del movimento dei Focolari.
L’incontro di Loppiano rappresenta un’anteprima in Italia. Cosa ha spinto ad una tale mobilitazione?
«È stato un evento pensato, promosso e realizzato passo passo da membri dei Focolari e rappresentanti delle comunità musulmane, espressione del dialogo vissuto da anni nelle loro città. A Verona, Trento, Padova, Teramo, Firenze, per fare qualche esempio, da tempo ci s’incontra e si collabora. Nel Veneto, dove il fenomeno immigrazione è molto sentito con valenza critica, ci sono rapporti costanti e autentici fra cristiani e musulmani con risultati inattesi. Un esempio. Donne cristiane hanno contribuito all’inserimento e all’integrazione di donne musulmane, insegnando loro la lingua italiana. A Firenze, presso il Centro internazionale Giorgio La Pira, dalla fine degli anni settanta si accolgono studenti stranieri e la maggioranza proviene da paesi di cultura e tradizione musulmana. È da questo tipo di vissuto, fondato sull’impegno a vivere e a costruire la fraternità universale, che è nata l’esigenza di un incontro a livello nazionale: un’occasione per fare una valutazione e per pensare insieme alle prospettive future».
L’Italia guarda al fenomeno migratorio soprattutto di matrice islamica con preoccupazione. Quali sono gli “antidoti” alla paura del diverso?
«Innanzi tutto, una precisazione. Se si vogliono trovare antidoti, i termini sono importanti. Non parlerei di matrice islamica, ma musulmana. Una questione di linguaggio, ma significativa. Ai musulmani piace così e dobbiamo tenerne conto. Si tratta di conoscerci. La preoccupazione o la paura nascono dall’ignoranza. Quando ci si conosce, si scoprono molti aspetti che non si immaginavano. Ma è una conoscenza che deve avvenire nel rispetto reciproco, cercando di far cadere quei paletti che, come diceva qualcuno al termine della giornata, ognuno di noi costruisce dentro di sé e che spesso non sappiamo nemmeno di avere».
Eppure ci sono delle questioni aperte su cui le comunità islamiche in Italia stentano a dare risposte convincenti ed efficaci. Quale via per una convivenza possibile oltre ogni pregiudizio e sospetto?
«Ovviamente siamo in cammino. I musulmani sono ben coscienti dei problemi che li accompagnano, ma sono convinto che anche noi cristiani dobbiamo interrogarci in questo senso. Ho notato nelle comunità musulmane incontrate un grande desiderio e un sincero impegno alla trasparenza e credibilità. Questo non significa che non ci siano problemi e che tutti la pensino allo stesso modo. Ma non si può negare che gli organi e le comunità ufficiali siano seriamente impegnate in questo senso. Un aspetto che è venuto molto in luce durante questi anni, e nella giornata appena vissuta è stato un punto di riferimento, riguarda la coscienza comune di essere italiani. Si tratta di lavorare tutti, cristiani e musulmani, come cittadini italiani delle rispettive fedi. Questo può aiutare ad avere una coscienza umana e civile, che aiuta a prendere a cuore le problematiche sul territorio e a lavorare insieme per il bene comune».
Quali prospettive di incontro e dialogo per il prossimo futuro?
«Mi ha colpito quanto è stato detto più volte, riguardo al lavorare insieme per dare un futuro veramente interetnico, interculturale e, quindi, interreligioso, al nostro paese. I flussi migratori non sono arrestabili: sono un “segno dei tempi” avrebbe detto Giovanni XXIII. Si tratta di leggerli e agire di conseguenza. La giornata di Loppiano ha dato a tutti la coscienza, come ha detto un partecipante prima di partire, che è sempre più evidente che siamo tutti fratelli. Allo stesso tempo, non siamo uguali e non dobbiamo confonderci. Si tratta di lavorare tutti, nei rispettivi ambiti, per diffondere l’idea che l’umanità è una famiglia. Dobbiamo mostrarlo sul territorio, con collaborazioni che possano essere risposte alle problematiche della famiglia, del lavoro, dei giovani. Questo è lo spirito e la decisione con cui si è ripartiti».