Insieme contro bullismo e cyberbullismo
Da qualche giorno gira sui social network un video in cui una ragazzina viene picchiata con violenza da una decina di coetanee. Molti altri assistono senza fare nulla. Qualcuno gira il video, poi diventato virale, nonostante una delle “bulle” gli dica minacciosa, in un passaggio, «smetti di riprendere».
Il fenomeno del bullismo è una forma di violenza che ha assunto i tratti di una vera emergenza sociale. Più della metà degli adolescenti italiani ha, infatti, subìto soprusi. Un dato terribile, diffuso in occasione della Giornata contro il bullismo e il cyberbullismo dai pediatri della Sipps (Società di pediatria preventiva e sociale), per i quali la fascia più a rischio è quella compresa tra gli 11 e i 17 anni. Numeri confermati da una ricerca di Skuola.net con le Università La Sapienza di Roma e la Cattolica di Milano per la polizia postale, secondo cui un ragazzo su due ha subito violenze sul web (vedi inchiesta sulle dipendenze su Città Nuova di febbraio). Pochi parlano dei soprusi subìti e chi lo fa preferisce sfogarsi con gli insegnanti piuttosto che con le famiglie.
Per la Società di pediatria, i ragazzi ritengono giusto ricevere delle regole per navigare sul web (72,6%), ma solo poco più della metà delle famiglie le dà, col risultato che la metà degli adolescenti passa sullo smartphone dalle 3 alle 6 ore ogni giorno. 1 ragazzo su 4, addirittura, non ha limitazioni di alcun tipo.
È dunque evidente l’urgenza di intervenire di fronte ad un fenomeno di così ampie dimensioni, che passa sottotraccia per la paura e la vergogna delle vittime, che restano (1 su 10) spesso in silenzio. E se del bullismo si conoscono almeno in parte le modalità (violenze, minacce, prese in giro), il fenomeno risulta terribilmente amplificato da Internet. Ma non è lo strumento ad essere sbagliato, quanto piuttosto l’uso che se ne fa. Serve quindi un’educazione ai rapporti interpersonali, al rispetto e alla gentilezza, anche tra gli adulti, che trovi riscontro nell’uso della Rete e dei social.
«Il bullismo – spiega la psicoterapeuta Francesca Maisano nel dossier di Città Nuova “Cyberbullismo” – c’è sempre stato, ma oggi purtroppo la società non propone più modelli positivi da contrapporgli. Di conseguenza aumentano le difficoltà per i ragazzi» che «non hanno adulti di riferimento, a causa di situazioni legate al contesto familiare o sociale».
Molti bulli, aggiunge la psicoterapeuta, riversano all’esterno quello che hanno visto, vissuto e sperimentato personalmente, magari dentro casa. I più piccoli, ad esempio, «possono imparare la violenza dalla tecnologia – quando sono messi davanti a strumenti che non sanno utilizzare, con immagini aggressive e violente che diventano quasi normali perché sono troppo piccoli per gestire quello che vedono o ascoltano –, e all’interno del contesto familiare. È chiaro che poi tutto questo lo portano fuori».
Le famiglie devono cercare di essere presenti, attive e vigilanti. «I genitori – sottolinea Maisano– non possono evitare ai ragazzi di chattare o fidanzarsi in rete, ma neanche lasciargli carta bianca con lo smartphone in mano. Tanti genitori non capiscono che il principio di base è lo stesso per il virtuale e per il reale: devo sapere dove sei e con chi sei. È chiaro che non potrò mai conoscere nel dettaglio cosa mio figlio fa, ma devo almeno sapere che tipo di social frequenta e come li usa. Questo non significa controllo, significa essere accanto a loro».
Non dimentichiamo che le violenze subite da piccoli segnano per tutta la vita. Anche quando si è ormai adulti e professionisti affermati. Lo ha spiegato bene il deputato Filippo Sensi, nel corso della discussione del disegno di legge sul bullismo, approvato alla Camera. «Sono stato per tutta la vita e sono – cito – un ciccia bomba, un panzone, un trippone, una palla di lardo… Un ragazzino – ha ricordato il deputato – una volta mi gridò: “Sensi, mi fai senso”, lo ricordo come fosse adesso… Sul mio peso scherzo, ma sento questo sguardo che pesa, che mi pesa. Non tutti però ce la fanno… Quando sei ragazzo o ragazza è più difficile, è maledettamente più difficile. Non tutti ci scherzano. Ci si chiude in casa, magari si finisce in cucina a rubare cibo, mangiando di più, ancora e ancora e ancora». Usando il cibo come anestesia, per stordirsi.
Per aiutare le vittime di bullismo, per arginare questo tristissimo fenomeno, oltre alle famiglie, un ruolo importante possono averlo i coetanei e la scuola. In quelle stesse aule dove talvolta le violenze prendono forma, si può anche imparare a debellare questo virus che ogni anno miete migliaia di vittime: ragazzi feriti nell’anima, che stentano a riprendersi e ad andare avanti.
Il Movimento italiano genitori (Moige), ad esempio, promuove il progetto “Giovani ambasciatori per un web sicuro”. Bullismo e cyberbullismo, spiega la vicepresidente Elisabetta Scala nel Dossier di Città Nuova “Scuola”, sono una criticità nelle relazioni tra coetanei. Noi facciamo prevenzione e formazione ai ragazzi, ma anche agli insegnanti e ai genitori. In ogni scuola formiamo un gruppetto di 4, 5 ragazzi, che diventano i giovani ambasciatori. Sono formati per accogliere, soccorrere e andare in aiuto dei coetanei».
L’educazione tra pari, sottolinea, funziona. «È più facile – spiega Scala – che un ragazzo si apra con un coetaneo e rompa la barriera del silenzio prima di aprirsi con i genitori o gli insegnanti». Chi chiede aiuto è poi sicuro di essere compreso, perché i giovani ambasciatori vengono selezionati tra le vittime di bullismo e i loro familiari, «ma qualche volta sono anche dei bulli pentiti, che decidono di mettersi in gioco».
A supporto delle vittime del bullismo è stato attivato un numero verde gratuito, 800 937070. È possibile denunciare il forma riservata le violenze subite anche attraverso il sito di MaBasta, il movimento antibullismo animato da studenti adolescenti.
Una strada per uscire dalle violenze, fisiche e psicologiche, c’è. Il primo passo è chiedere aiuto, parlarne, denunciare.