Insetti, malattie e clima
Oggi si sente molto parlare del rapporto tra cambiamenti climatici e malattie. Per il Covid-19 non c’è reale evidenza di un rapporto causa-effetto tra loro, ma entrambi i fenomeni possono derivare da cause simili. Ad esempio, il fatto di deforestare in Paesi tropicali per fare monocolture e magari allevamenti intensivi, da un lato favorisce il riscaldamento globale perché toglie di mezzo gli alberi, assorbitori di anidride carbonica, dall’altro costringe a un più stretto contatto con animali selvatici e rende più probabile un eventuale spillover, cioè il passaggio di un virus da loro all’uomo.
Il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici ad esso collegati hanno invece un influsso molto importante su tutte quelle malattie portate all’uomo da “vettori”, come le zanzare, i pappataci, le zecche. Questo perché cambiano i cosiddetti “areali”, cioè le zone in cui questi vettori trovano condizioni climatiche ottimali per vivere e prosperare. In particolare, se continuerà questo trend di riscaldamento globale, la malaria, trasmessa dalle zanzare anofeli, e altre malattie trasmesse da vettori potranno interessare aree che ora ne sono esenti.
Inoltre, non solo noi uomini potremmo essere interessati da questi spostamenti di areali, ma anche gli animali. Chi ha un cane, sa molto bene che una delle malattie più pericolose è la leishmaniosi, che deriva da un parassita portato da una famiglia di pappataci, i cosiddetti “flebotomi”. In questo senso, già si è verificata la presenza di leishmaniosi in zone che prima ne erano esenti, a causa dello spostamento degli areali di questi flebotomi. Ad esempio, oggi in Italia casi di leishmaniosi si rilevano anche in zone di alta collina, dove prima faceva troppo freddo per i flebotomi.
Recentemente, insieme ad alcuni colleghi, ho effettuato uno studio che riguarda gli influssi meteo-climatici su una specie di flebotomo. I colleghi hanno messo delle “trappole” per catturare i flebotomi in vari siti della regione Lazio per 3 intere stagioni estive (2014-2016). Insieme al mio dottorando Stefano Amendola, abbiamo elaborato e applicato un modello per prevederne la numerosità a partire da dati puramente meteo-climatici. Lo studio è stato pubblicato pochi mesi fa sulla rivista internazionale Ecological Informatics (vol. 56, marzo 2020).
Ovviamente in 3 soli anni non si possono vedere trend climatici e quindi il nostro scopo non è stato quello di cogliere e di simulare questo effetto con il modello. In effetti, il caso ha voluto che l’estate 2014 sia stata piuttosto fredda, quella del 2015 molto calda e quella del 2016 nella norma, rispetto alla climatologia del trentennio 1981-2010. Per quanto riguarda le precipitazioni, ci sono state poche differenze nei 3 anni. Così, il 2014 potrebbe considerarsi un esempio di clima passato, il 2016 un esempio di clima presente e il 2015 un esempio del clima che potrebbe fare in futuro. In questo senso, en passant, abbiamo notato più flebotomi nel 2015. Ma ovviamente da questo non possiamo concludere nulla di certo.
La nostra indagine, invece, era mirata a capire se ci siano influssi meteo-climatici a più breve raggio temporale che ci possano consentire di ricostruire e prevedere la numerosità dei flebotomi. Ebbene, l’applicazione di un mio modello di intelligenza artificiale a rete neurale ha permesso di spiegare circa il 63% della variabilità nella numerosità di questo flebotomo soltanto a partire da alcuni dati meteo-climatici. Considerata l’esistenza di altri influssi di tipo non climatico, questo appare un risultato piuttosto importante.
In particolare, gli influssi meteo-climatici più significativi sono risultati quelli di temperatura e umidità dell’aria, e temperatura del suolo, mediate nei 45 giorni precedenti la cattura, cioè relativi agli stadi di ovideposizione, sviluppo larvale e vita adulta dei flebotomi. Il confronto del modello a rete neurale con un più semplice modello lineare ha poi consentito di capire che gli influssi dei singoli parametri meteo-climatici si estrinsecano spesso come effetti soglia non lineari e non possono essere colti da modelli più semplici.
Insomma, in generale gli areali di determinati insetti sono già variati e varieranno ancor più in futuro a causa del cambiamento climatico. Ma in questo ambito si può essere più precisi e valutare l’impatto dei cambiamenti specifici a corto raggio spaziale e temporale sulla presenza di certi vettori, portatori di malattie. È un primo passo per quantificare meglio il rischio di certe malattie, come la leishmaniosi, con maggiore dettaglio sui territori di interesse. Il fatto di poter ridurre questo rischio, invece, dipende fortemente da quanto saremo in grado di fermare i cambiamenti climatici.
*fisico del clima, CNR