Insegnanti d’italiano a costo zero
«Oggi i ragazzi di Barbiana vengono dall’Afghanistan, dalla Nigeria, dal mondo slavo. Hanno alle spalle detriti, macerie e relitti, eppure quando ridono sembrano aver dimenticato tutto». Lo scrittore e insegnante Eraldo Affinati si esprime così, nello stile di don Milani, sull’insegnamento dell’italiano agli stranieri. L’occasione è data da un convegno che si svolge a Genova nella sala dei Chierici della Biblioteca Berio. Una realtà, quella dell’insegnamento agli stranieri, che nel capoluogo ligure ha una lunga storia, come ci raccontano alcuni protagonisti. Luca Burioni, Roberto Marini e Marisa Bidone insegnano da anni nella scuola di italiano per stranieri del Comitato Umanità Nuova in pieno centro storico genovese. Marisa l’ha vista nascere nel 1991 con i primi due insegnanti e qualche ragazzo magrebino come alunno. Ora si ritrova ad esserne la coordinatrice: 20 insegnanti disposti a personalizzare lezioni e orari, più di cento iscritti di cui tanti analfabeti nella lingua d’origine. Si va dalla scuola “storica” della Comunità di Sant’Egidio nata nell’86 a quella subito successiva del Comitato Umanità Nuova del Movimento dei Focolari, alle neonate degli ultimi 5 anni nella vivace rete di accoglienza dei richiedenti asilo (Pas a Pas, Amici della don Milani, Il Ce.sto, Ponti Migranti, Semiforesti, ecc.). In queste scuole, come nella Penny Wirton fondata da Affinati e dalla moglie Anna Luce Lenzi, il rapporto è spesso “uno ad uno” o a piccoli gruppi. Uno spazio dove si ricostruiscono rapporti umani e relazioni educative di qualità, senza voti, registri e burocrazie. «Questi allievi sono persone che quasi chiedono il permesso di imparare – racconta Marisa Bidone – come se non fosse un loro diritto, ma un regalo inatteso. Arrivano con la voglia di portare a casa qualcosa che forse permetterà di realizzare un sogno: avere una propria casa, un lavoro. Quello che succede a scuola è che dopo un po’ che sei lì le considerazioni teoriche, le consapevolezze didattiche si piegano davanti a domande concrete, di tipo diverso dalle solite. Quale italiano insegnare? Quello della sopravvivenza, del lavoro, della lingua dei figli? C’è una scuola da inventare davanti ad ogni ragazzo, adulto, mamma». Queste esperienze di presa in carico dei problemi e delle persone sono per Emanuela Fracassi, assessore con delega all’immigrazione, la fotografia di una Genova che appare poco sulle prime pagine dei giornali, il vero deterrente alla disinformazione diffusa che genera paura e blocca la crescita umana e culturale di un territorio. Un pensiero inclusivo che si fa azione è il nucleo della proposta di Affinati: «Ho portato ad insegnare italiano agli immigrati anche un mio alunno del professionale, un ragazzo di Casa Pound. Quando ho visto questo ragazzo con la croce celtica che parlava con Mohamed, con Omar, ho capito cosa significava la scuola, mi sono reso conto del lavoro di trasformazione che avviene nell’immigrato e in noi italiani». La Penny Wirton usufruisce del progetto di alternanza scuola-lavoro, portando i ragazzi dei licei romani a insegnare italiano ai loro coetanei immigrati. Giulia del Tasso, Marco del Virgilio usano così le loro 200 ore del progetto: «I circa 80 ragazzi impegnati sono i migliori docenti – continua Affinati –. Un pomeriggio ero con Laura nella fase di affiancamento, lei aveva di fronte Rashedur del Bangladesh ed era perfetta mentre gli insegnava il verbo essere, il verbo avere. Quell’adolescente italiana aveva delle risorse che noi adulti stentiamo a trovare per la sua capacità di dialogo con il suo coetaneo, che veniva da un altro mondo, che era cresciuto a Dakka sulle palafitte. Questi due sedicenni non dovevano mostrare il passaporto per varcare i confini, erano come degli uccelli che passavano da una riva all’altra e riuscivano a dialogare in un modo magico, irripetibile». La forza di questi antidoti al dramma della crisi umanitaria che attraversiamo incoraggia il lavoro di rete delle scuole genovesi che arrivano a più di mille alunni l’anno. Laura Romei, dell’associazione Il Ce.Sto, evidenzia gli obiettivi futuri, a breve e lungo termine: la formazione degli insegnanti; l’intenzione di usufruire del progetto di alternanza scuolalavoro aiutandosi a semplificare le procedure; una collaborazione più sistematica e continuativa con i Cpia (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti del ministero della Pubblica istruzione) di Genova, già assicurata dalla disponibilità dei tre direttori didattici presenti. Nell’immediato si tratta di affrontare insieme la necessità di assicurare un servizio durante i mesi estivi, tempi di arrivi massicci, in cui varie scuole hanno bisogno di trovare soluzioni logistiche per rimanere aperte. Luca Borzani, presidente della prestigiosa Fondazione culturale del Palazzo Ducale di Genova, lancia un’ulteriore sfida: «Uno dei punti di fallimento della politica è proprio quello di non aver affrontato con lungimiranza i temi dell’immigrazione. I grumi della xenofobia e del razzismo sono effetti dell’assenza di spiegazioni. In Italia, terra di confine per l’Europa, siamo straordinariamente capaci di salvare vite umane, ma incapaci di passare dall’ospitalità all’accoglienza, con i rischi sociali che ne derivano. Attualmente sembra avere una rilevanza politica solo la voce degli “imprenditori della paura”, che riduce le persone a cose». Da qui l’invito a diventare più visibili, a dare voce a quest’impegno di cittadinanza. Genova ha una sua bellezza che non è solo quella di mare, monti e opere d’arte, ma anche delle relazioni tra persone che legittimano con i fatti le loro parole.
Lo “straniero” arriva da mille storie diverse e quasi mai paragonabili. «Anche tu, insegnante – aggiunge Marisa Bidone –, non sei più quello di prima, presto ti ritrovi cambiato, magari non ti sei mai mosso da Genova, ma ora sai che ti è entrato dentro il mondo, con volti, culture, storie, fatti, non folclore».