Insediato il nuovo Congresso in Colombia, le sfide che attendono Petro

Il presidente Gustavo Petro conterà su una ampia maggioranza nella nuova legislatura. In agenda ci sono importanti riforme. Come coniugare crescita economica e sviluppo?
Il presidente della Colombia Gustavo Petro, foto Ap.
Presidential candidate Gustavo Petro, with the Historical Pact coalition, gives a thumbs up to supporters on election night in Bogota, Colombia, Sunday, May 29, 2022. Petro will advance to a runoff contest in June after none of the six candidates in Sunday's first round got half the vote. (AP Photo/Fernando Vergara)

Lo scorso 20 luglio, nell’anniversario dell’indipendenza della Colombia, è stata inaugurata la legislatura del nuovo Congresso risultante dalle elezioni che hanno condotto Gustavo Petro alla presidenza. Varie le novità: è la prima volta che la sinistra non solo non è opposizione ma addirittura maggioranza, che le donne occupano il 30% dei seggi, la prima volta che siede come deputata una palenquera, membro della minoranza afro che nel XVII e XVIII ha dato vita a una rivolta anticoloniale.

Il governo di Petro si sostiene su una alleanza che gli consentirà di governare con l’appoggio di 63 senatori su 108 e di 106 deputati su 188. Nemmeno il suo acerrimo avversario di destra, l’ex presidente Alvaro Uribe, durante il suo primo mandato ottenne un risultato simile.

La maggioranza formata nel Congresso sarà indispensabile per realizzare le riforme che Petro ha intenzione di avviare in diverse aree. Prima di tutto, una riforma agraria che possa ridurre la diseguale distribuzione delle terre coltivabili, concentrate in pochissime mani, spesso ottenute occupando terre abbandonate dai contadini sfollati per la guerra civile. Non a caso, durante la sessione di inizio della legislatura, dai banchi dell’opposizione si protestava contro la temuta espropriazione di terre. Alcuni cartelli nelle mani dei legislatori di destra alludevano alla possibilità di una giustizia sociale senza ricorrere all’espropriazione. Un messaggio che non tiene conto che molte proprietà sono state acquisite mediante il sopruso e che rivela, nemmeno tanto indirettamente, da che parte stanno alcuni settori politici.

Petro ha messo nel suo programma di governo anche una riforma del sistema tributario. Il Paese è tra i più disuguali dell’America Latina, uno stato di cose ormai ingiustificabile.

Ma anche nel Congresso si preme per ridurre a tre il numero dei mandati possibili, limitare il periodo di ferie dei legislatori e prevedere la perdita dello status di legislatore in caso di assenteismo. Cambiamenti radicali, ma da applicare gradualmente, assicurano dalla maggioranza, nel pieno rispetto delle norme della Costituzione.

Solo il tempo dirà se Petro (che assumerà i poteri presidenziali il prossimo 7 agosto, ricorrenza della storica battaglia di Boyacá, chiave per l’indipendenza colombiana), riuscirà a condurre in porto i cambiamenti sui quali ha centrato la sua campagna elettorale. Dovrà far fronte a una mentalità poco aperta al nuovo, che ha preferito in questi anni incrementare le disuguaglianze nonostante queste siano una indicazione dell’inefficienza dei mercati. Complice di questo stato di cose, la violenza politica e il narcotraffico che hanno fatto prevalere l’emergenza permanent, su ciò che è necessario a lungo termine.

Il Paese ha tutto da perdere se non si avanza verso una pacificazione durevole, che possa evitare lo scontro permanente aizzato dalla polarizzazione destra-sinistra.

Da tempo, appare possibile che quella colombiana possa trasformarsi nella terza economia regionale, dopo Brasile e Messico, sorpassando l’Argentina, avvolta da anni in una crisi che non accenna a scemare (molto più simile a un labirinto politico).

Il grande problema, non solo colombiano ma si direbbe globale, è quello di articolare la crescita con lo sviluppo. La prima è una condizione necessaria, ma non sufficiente del secondo, anche se spesso gli economisti tendono a considerare sinonimi i due termini. Lo sviluppo è una costruzione sociale molto più ampia del mero incremento del pil e della capacità produttiva. Senza maggiore accesso ai diritti fondamentali, alla scuola, alla sanità, al lavoro degno, senza una più equa ridistribuzione della ricchezza generata, permangono le condizioni di sottosviluppo, che limitano solo a pochi i benefici della crescita.

E mentre a destra ci si affida ciecamente al mercato, illusi che sia capace di per sé di sviluppo, a sinistra si crede -altrettanto ciecamente- che solo lo Stato sia capace di tale risultato. In realtà, senza un patto sociale e strategico tra Stato, mercato e società civile sarà difficile ottenere risultati sostenibili. Dunque, si tratta di costruire sussidiarietà circolare, dove queste tre realtà economiche possano agire in sintonia e non in antagonismo. È proprio ciò che ha impedito a Paesi come Brasile, Argentina, Ecuador, tanto per fare alcuni esempi, di rendere sostenibile nel tempo la crescita inedita degli anni tra il 2004 ed il 2011.

L’alternativa è l’attuale situazione di stallo che – per riassumerla semplicemente- provoca una alternanza tra governi neoliberisti – capaci di generare crescita, ma senza saperla ridistribuire-, e governi progressisti – capaci di ridistribuire ricchezza, ma senza saperla produrre. È quanto accaduto negli ultimi anni nella regione.

Petro avrà assimilato questa lezione? È tutto da vedersi. Urgono patti sociali.

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