Inquinamento da Pfas, il processo accelera

Il giudice Roberto Venditti ha unito i due filoni del procedimento penale che vede imputata l'ex Miteni per aver inquinato buona parte del Veneto, contaminando anche la popolazione.
NoPfas a Venezia. Foto Federico Bevilacqa archivio NoPfas land

Avevamo dato notizia qualche tempo fa, in una delle nostre dirette del lunedì, dell’inizio del processo per l’inquinamento da Pfas in Veneto – che si pone come storico, in quanto per la prima volta è direttamente la popolazione ad essere coinvolta come vittima dell’inquinamento industriale, e non soltanto i lavoratori di un’azienda chimica come era accaduto ad esempio a Marghera.

E il 22 marzo, per altro a ridosso di una ricerca dell’Università di Padova che mette in luce come le sostanze con cui sono stati sostituiti gli Pfas non siano in realtà meno pericolosi (si sono evidenziati danni analoghi nei molluschi della laguna veneta), si è svolta nel tribunale di Vicenza una nuova udienza preliminare di questo processo, che ha così visto uno sviluppo significativo.

Il giudice Roberto Venditti ha infatti deciso di unire i due filoni del procedimento penale per inquinamento contro l’ex Miteni: una cosa che potrebbe sembrare un dettaglio tecnico, visto che non cambia la sostanza delle imputazioni, ma che ha consentito ai pubblici ministeri Barbara De Munari e Hans Roderich Blattner di procedere contro tutti e quindici gli indagati. Nel Paese delle lungaggini giudiziarie, unire i filoni contribuisce a snellire tempi e burocrazia: e questo è infatti l’auspicio, oltre che – come hanno dichiarato i legali delle parti civili – quello che meglio chiarisce il quadro delle responsabilità, considerandole nel loro insieme.

La prossima udienza si terrà il 13 aprile alle 10, e la parola passerà alle difese. Nel dettaglio, il primo procedimento vede indagate tredici persone, tra cui i manager della Miteni e alcuni dirigenti di Mitsubishi Corporation e Icig, società lussemburghese a cui è andato il controllo di Miteni prima del fallimento. L’accusa, semplificando al massimo, è quella di aver inquinato sapendo di farlo, e nascosto elementi utili a intervenire per contenere i danni: condotta che si sarebbe protratta fino al 2013, ma che ancora per molti anni farà sentire i suoi effetti.

Il secondo procedimento riguarda otto persone, di cui sei già coinvolte nel primo, più la società fallita Miteni; a cui viene contestato il fatto di non aver adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire questo tipo di reati, con l’accusa di inquinamento ambientale. Il lasso di tempo qui preso in considerazione è quello dal 2013 al 2018, anno del fallimento: nonostante lo stop alla produzione delle sostanze incriminate, infatti, queste hanno comunque continuato a propagarsi dalla falda sotto l’azienda, coinvolgendo un’area di 75 km quadrati a cavallo di tre province – Vicenza, Padova e Verona.

Unire questi due filoni, come già detto, è quindi considerato dai legali un passaggio di enorme importanza per riuscire a fare giustizia sulla questione.

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