Inps in rosso e il futuro delle pensioni
Ha una frequenza ciclica l’allarme sui conti dell’Inps, l’Istituto previdenziale pubblico che si è accollato man mano fondi in perdita come quello dei dirigenti (Inpdai) e la complessità gigantesca dell’Inpdap (dipendenti statali).
Nel bilancio di previsione 2016 si prevede un disavanzo di oltre 11 miliardi di euro che ha dato lo spunto al Consiglio di vigilanza dell’Istituto per lanciare l’allarme sulla sostenibilità non tanto delle pensioni ma dei pesanti tagli alle spese di gestione di una macchina amministrativa che deve coprire non solo l’erogazione delle prestazioni previdenziali ma una gran numero di quelle assistenziali.
Già a fine 2015 il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha voluto rassicurare tutti ricordando che «le prestazioni sono tutelate dallo Stato, e finché lo Stato non fallisce i cittadini non debbono preoccuparsi».
Lo spettro del fallimento dello Stato non è poi così remoto nell’immaginario collettivo se solo si torna all’insediamento d’urgenza del governo tecnico di Mario Monti e alle lacrime in diretta del ministro del lavoro e previdenza sociale, Elsa Fornero, consapevole di dover andare a toccare le pensioni medio basse per fare cassa.
L’economista Boeri, professore alla Bocconi, promotore della conoscenza economica diffusa grazie a siti come lavoce.info e al festival annuale di Trento, nonché consulente delle maggiori istituzioni internazionali, sta interpretando in maniera molto interventista il suo ruolo proponendo riforme pensionistiche e interventi contro la povertà che hanno incontrato finora scarsa attenzione da parte dell ’attuale Ministro del Lavoro e previdenza sociale, Giancarlo Poletti, che ha tenuto a ribadire i rispettivi ruoli e competenze.
Ma è chiaro a tutti che il tema delle pensioni sarà sempre più decisivo. L’accenno ad una riduzione di quelle di reversibilità ha avuto il potere di scatenare proteste e prese di posizioni allarmate. Per questo motivo è importante poter sviluppare un serio dibattito pubblico sul futuro della previdenza pubblica e i criteri per gestire una emergenza strutturale annunciata considerando il declino demografico italiano e l’arrivo all’età pensionistica di una massa di persone con un percorso lavorativo precario e non regolare.
Sulla rivista Città Nuova abbiamo cercato di offrire una chiave di lettura che attinge alla lezione di un grande economista come Federico Caffè che ammoniva sull’insistenza terroristica sui disavanzi catastrofici degli istituti previdenziali come preparazione a tragiche “soluzioni finali” che possono riguardare i cinquantenni attuali, scartati dal lavoro grazie alla facilità della flessibilità in uscita, agli attuali giovani senza occupazione per i quali bisogna assicurare adesso una copertura previdenziale se non si vuole disegnare il futuro di anziani ridotti in miseria.
Come ci ha detto Gianni Bottalico, presidente delle Acli, bisogna ora disinnescare una bomba sociale destinata ad esplodere, lasciando da parte ogni impraticabile ricorso ad una previdenza integrativa che solo i più ricchi possono permettersi, mentre «i lavoratori con bassi salari e/o redditi da lavoro discontinuo riesce a malapena a non morire di fame». Un predecessore presidente dell’Inps temeva che la consapevolezza impietosa dei numeri avrebbe scatenato la rivolta sociale.
Non è detto che il professor Boeri non sia in grado di rompere di nuovo il protocollo e lanciare un audit di informazione e discussione pubblica sul futuro della previdenza in Italia. Intanto sono previste in arrivo le buste arancioni con la simulazione della pensione che verrà. Un primo passo di educazione finanziaria. Si spera non induca all’incremento del consumo dei “gratta e vinci”. Abbiamo bisogno di altro