Inno alla libertà
G. Rossini, Guglielmo Tell. Roma, Accademia Nazionale Santa Cecilia.
Cinque anni dopo il beethoveniano Inno alla gioia, nel 1829, Rossini chiude la carriera operistica con uno squarcio liberatorio alla fine dei quattro atti del suo Tell. Un inno alla libertà in un capolavoro giudicato “la bibbia della musica”, da cui tutti impareranno, fino al Verdi del 1871. La libertà, dono divino che affratella gli uomini, Gioachino la canta con una melodia avvolgente, in una spirale che si allarga nel “crescendo” lentissimo – prewagneriano – ad abbracciare tutta la storia. L’autore irridente del Barbiere si è fatto voce dell’umanità, raccontando di Tell, liberatore della Svizzera: materiale incandescente nelle menti dei patrioti, italiani e no. Insieme, canta l’amore impossibile di Arnold e Matilde, già romantico.
Ma è il coro a giganteggiare, protagonista di sentimenti unitari: ora in preghiera – un inno alla Vergine delicatissimo (qualcuno l’avrà notato?) –, terrore, senso panico, rivolta. L’orchestra evoca suggestioni naturali, palpitazioni dell’animo, inni, danze: e melanconie, con una tavolozza sgargiante.
Antonio Pappano dirige un’interpretazione fiammante. Cast, orchestra e coro di alto livello. Resta l’immenso cuore di un Rossini che a 37 anni sapeva già tutto della vita così da dirlo a noi ancora oggi con assoluta semplicità.